‘Ricordo di Anna Paola Spadoni’: il desiderio e il disgusto
Il romanzo di Giuseppe Mazzaglia è una storia semplice di desiderio ed eros fra i banchi di scuola. Ma raccontata con uno stile barocco, intenso e divino.
Il romanzo di Giuseppe Mazzaglia è una storia semplice di desiderio ed eros fra i banchi di scuola. Ma raccontata con uno stile barocco, intenso e divino.
In questo momento sto scrivendo di un libro che ho perso. Non l’ho perso per strada, è scomparso nella mia stanza, inghiottito dalla stretta libreria dove cerco di far entrare tutto. Il libro s’intitola Ricordo di Anna Paola Spadoni (Isbn Edizioni, 2011) di Giuseppe Mazzaglia.
Il romanzo fa parte della collana di riedizioni, Novecento italiano, dove vengono riesumati capolavori del ’900 di nicchia, dimenticati, curata da Guido Davico Bonino. Si tratta di titoli poco conosciuti ma che ai tempi della prima pubblicazione suscitarono comunque clamore.
In effetti, chi conosce Giuseppe Mazzaglia? Nella mia ignoranza, non lo avevo mai sentito nominare. Si tratta di uno scrittore catanese nato nel 1926 e morto nel 2014. I suoi romanzi e raccolte di racconti (in realtà solo una, La dama selvatica) sono stati pubblicati dalle più importanti case editrici. Giuseppe Mazzaglia pubblicò poco in vita: una raccolta di racconti, come citato, e tre romanzi, fra cui Ricordo di Anna Paola Spadoni, uscito per Rizzoli nel 1969.
Ho trovato il libro nella riedizioni Isbn su Libraccio, usato, al 50%, con mia grande felicità. Sono arrivata a Mazzaglia sotto consiglio di un noto scrittore con il quale ho avuto la fortuna di trascorrere del tempo dato che abitiamo nella stessa città.
Ho finito (e poi misteriosamente perso) il libro circa due, tre mesi fa, ma ci continuo a pensare. La sinossi è molto semplice: un giovane professore si lascia travolgere dall’ossessione sessuale per un’alunna, Anna Paola Spadoni, per l’appunto.
Come mai non ho parlato di innamoramento ma di ossessione sessuale? Tutto il romanzo gronda di un erotismo vischioso, delirante, soffocante, descritto con uno stile divino. Lo stile di Giuseppe Mazzaglia è divino, non ci sono altri termini. Stile celeste per una materia terrosa, interrata, sotterranea, oscura.
In una scena del romanzo, il primo incontro fuori dall’aula tra il giovane professore e l’ancora più giovane alunna Spadoni, lui la spinge contro il tronco di un albero in una zona di campagna, le palpa il seno. Di lì passano le mucche e un toro. Il professore indica i testicoli del toro all’alunna e li paragona ai suoi.
Il professore Savasta soffre di adipofilia, l’attrazione sessuale per le persone in sovrappeso. Scrivo soffre non a caso. Nel romanzo di Mazzaglia il desiderio sessuale è una malattia, una infezione, una febbre (e infatti tante volte verrà utilizzato quest’ultimo termine).
Anna Spadoni è un’adolescente in forte sovrappeso e lui ne diventa ossessionato. Ne è così tanto attratto da rasentare il vomito il più delle volte. Un desiderio inappagato così forte che il corpo lo rigetta tramite i conati e lo scarica con la febbre, con i tremori con l’insonnia.
Ho tribolato insieme al professore Savasta pagina dopo pagina, trascinata dal miracoloso stile di Giuseppe Mazzaglia. Tutto questo, nonostante il personaggio mi suscitasse riluttanza e disgusto a tratti.
Ero combattuta, tifavo per lui, desideravo con lui e dopo avrei voluto sputargli addosso. Infatti, se da un lato, il professore quasi muore solo per uno sguardo ricambiato della ragazza, dall’altro è un viscido maniaco, che paragona i suoi testicoli a quelli del toro, che strizza i capezzoli dell’alunna Spadoni fino a farle male.
Ma sta qui il capolavoro di Mazzaglia, riprodurre nella sua complessità il desiderio: lacrime e vomito; sentimento e rigurgiti corporei; disgusto, disgusto.
Riporto uno dei tanti brani divini di Mazzaglia. Qui prevale l’immaginazione del sentimento (ma è il mio occhio da lettrice a tradurlo come tale, ovvio). Il professore quasi sviene solo per uno sguardo dell’alunna:
“(…) rialzò piano la testa e mi guardò dritto negli occhi seguitando a parlare. La vampata m’investì e la vertigine s’allargava più ampia, adagio, più piena, dolce, per riempirmi di fuoco. Ma il fuoco ardeva, bruciava fino al ventre e cresceva, s’alimentava potente, sfiniva. Disperato, chinai il capo per salutare la ragazza o meglio per ringraziarla. Spadoni non rispose. Mi guardò con scrupolo i denti (o il mento o il collo) dandomi così un po’ di respiro, dopo tornò con calma a guardarmi negli occhi con sfacciataggine (le pupille grandi, ahi ampie, aperte, cosittanto larghe) dilatandomi sconsideratamente con limpidezza l’anima – già spalancata ormai fino all’ultimo limite – che la spinta vasta, spropositata, ancora a grado a grado apriva con forza piena, grande, quasi dolorosa. Sofferente, anzi prossimo al vomito, la salutai con la mano, sperando nel miracolo e cioè che cessasse di guardarmi.”
Certe volte ho creduto di essere asessuale. Anzi, no, non creduto, l’ho sperato. Ho creduto che l’assenza di desiderio mi avrebbe resa libera (sbagliando, certo, riconducendo l’asessualità in questi termini, probabilmente inventati da me, dato che anche l’asessualità è comunque un orientamento sessuale e non può certo ridursi ad assenza di desiderio).
In questo stato d’animo ho continuato a pensare al romanzo di Giuseppe Mazzaglia, ne sono rimasta invischiata. Un invischiamento automatico, comunque, dato che nella mia vita, nonostante le mie speranze, mi ritrovo spesso a fare i conti con questa disgustosa materia del desiderio. Desiderare mi fa sentire debole, e più mi sento debole più divento irascibile e i segnali del mio corpo si trasformano in chiusura al prossimo.
Così come io certe volte ho fantasticato su una mia possibile asessualità, c’è una mia amica che, invece, crede di essere ninfomane. Tuttavia, nonostante le sue fantasie e autodeterminazioni immaginarie al riguardo, più volte le ho fatto notare come non abbia niente a che fare con la ninfomania.
Non va a letto con nessuno, non bacia nessuno, non tocca nessuno (nonostante ne abbia la possibilità). L’unica persona con la quale si lascia andare al desiderio è il suo ex tossico, che ogni tanto ritorna ciclicamente tanto per impedirle di ricominciare dopo la loro relazione iper tossica.
Dunque tutto, ovunque, pare essere ricondotto al desiderio (sessuale). Un’attualità estenuante, nauseante. C’è un mio amico che fa sesso così come timbra il cartellino. Lui, analfabeta emotivo, l’unico modo che ha per approcciarsi con le donne è la seduzione, non ne conosce altri. Dunque colleziona un’avventura dopo un’altra ma come se fosse un lavoro, un obbligo. Tant’è che gli ho consigliato di farsi pagare la prossima volta.
Dunque tutto, ovunque: e le immaginazioni sull’asessualità, sulla ninfomania, e il sesso meccanico da ufficio, e l’astinenza, e l’autoerotismo, e le cose incredibili, le pratiche sessuali incredibili, sì, che poi in realtà sono normalissime, ovvio, ma c’è bisogno di crederle sorprendenti perché c’è un desiderio più grande che è questo desiderio di sentirsi sempre fuori dalla media, speciali, e questo gigantesco vuoto da riempire, certo, come al solito, un classico.
E questo benedetto sesso, ancora, e questi discorsi sul sesso, ancora, e soprattutto il disgusto, il vomito, ma senza che a descriverlo ci sia la penna divina di Mazzaglia.
Consiglio Ricordo di Anna Maria Spadoni a tutti quei lettori che abbiano voglia di riscoprire uno dei capolavori dimenticati del Novecento italiano. A chi voglia leggere una storia semplice di desiderio ed eros fra i banchi di scuola, ma con uno stile barocco e intenso.