Avevo parlato del Pianeta di ghiaccio di Maggie Gee in relazione alla polarizzazione patriarcato/eco-maternalismo e a quanto lo scontro fra i due estremi non porti niente di buono dato che la questione ambientale va affrontata assieme. Torno ancora una volta sullo stesso libro per riflettere su un’altra polarizzazione che l’autrice spinge all’estremo perché la si veda meglio. Il tema, anche se all’epoca (il libro è del 1998) non si utilizzava questa terminologia, è la questione della transizione ecologica, in questi giorni più attuale che mai. Una questione certamente da discutere, perché non c’è una sola transizione ecologica, cioè non c’è un solo modo di figurarsela.

Tutto parte da cosa s’intende per ecologia. Dal greco οἶκος e λόγος, cioè discorso sulla casa. Quale casa? La casa costruita dall’uomo con le sue mani o ciò su cui quella casa poggia? Su cosa porre l’accento? Cercare di conservare l’impalcatura socioeconomica continuando con i grandi interventi al fine di risolvere i problemi contingenti, come l’eccessiva quantità di anidride carbonica nell’atmosfera, o dare la precedenza alle cosiddette nature based climate solutions mettendo in conto cambiamenti più profondi e più sostenibili?

Cosa sono le Nature based climate solutions intanto? Ecco una definizione dell’IUCN (International Union for Conservation of Nature): “Azioni al fine di proteggere, gestire in maniera sostenibile e ripristinare ecosistemi intatti o su cui si è intervenuto, che indicano sfide sociali in modo effettivo e adattativo, simultaneamente provvedendo benessere e il beneficio della biodiversità”.

Queste due tendenze, quella dei grandi interventi e quella della precedenza alle nature based solutions, una volta risolta la faccenda dei cosiddetti clima-confusionisti, saranno probabilmente la vera sfida politica del futuro, una sfida che ricalca la vecchia dicotomia fra conservatorismo e lotte per la difesa dell’anello debole della catena economica. L’anello debole in questo caso non è solo l’ambiente o la biodiversità, ma rappresenta ogni questione che una crisi climatica può inasprire, il divario fra ricchi e poveri in primis. Una nota, preferisco la parola clima-confusionisti, coniata da Jean Pascal Van Ypersele vice presidente dell’IPCC, al termine negazionisti che non deve essere banalizzato all’occorrenza per chiunque neghi un grande male: non è di una Shoah di umani contro umani che stiamo parlando. E la confusione sul clima in effetti è la prima caratteristica ideologica di chi nega il problema.

Il futuro che Maggie Gee immaginava nel 1998 è un futuro estremo, dove il patriarcato/paternalismo, legato al capitalismo dominante e ancor di più alla tecnofilia, ha talmente scocciato da aver innescato una reazione altrettanto estrema (e quindi altrettanto fallimentare) sul lato eco-maternalista e alternativo. Non a caso Saul, il personaggio principale, è un ingegnere, si occupa di nanotecnologie, ama il suo lavoro e crede sinceramente che il techfix possa risolvere qualunque problema – nonostante molti problemi siano stati creati proprio da questo tipo di mentalità ottimisticamente acritica e convinta di poter tenere sempre tutto sotto controllo. Gli uomini patriarcali del futuro di Saul sono talmente convinti di poter sostituire qualsiasi cosa con un costrutto antropogenico che a un certo punto, quando la faccenda della segregazione dei generi diventa enorme e molti si ritrovano soli, la tecnologia inventa le Colombe.

Una Colomba è una specie di robot-cameriera che sembra un grosso volatile ed è in più dotata di vagina per supplire, non solo alla pulizia della casa, ma anche alla mancanza di contatto fisico. Con sottile sarcasmo, Maggie Gee mostra che la soluzione tecnologica che supplisce all’amore (o al sesso) ha, come spesso accade, un risvolto nero e inquietante: le Colombe tendono a mangiarsi gli animali domestici. È una metafora, neanche troppo sottile: un meccanismo che vale anche per il clima. La fiducia cieca in soluzioni al problema del cambiamento climatico con innovazioni e interventi che scaturiscono dalla stessa mentalità che quei problemi li ha creati va messa in discussione. Questo credo sia uno dei messaggi più importanti di un libro che non può mancare negli scaffali di chi ha a cuore la questione climatica – gli spoilers che (a fin di bene) vi ho dato da questo blog non precludono affatto il godimento della lettura. Gee peraltro non è la sola a segnalare, tramite un romanzo, la necessità di un cambio di mentalità applicato alla tecnologia. Perfino Bruno Arpaia nel suo Qualcosa, là fuori (la prima cli-fi italiana) quasi vent’anni dopo ribadisce lo stesso concetto: i suoi personaggi principali, Livio e Leila, scienziati, presagiscono guai seri quando sentono alla televisione che gli Stati Uniti lanceranno un programma di geo-ingegneria iniettando acido solforico nell’atmosfera per far calare le temperature degli inverni estremi post-antropogenici. Ciò che li fa rabbrividire di più è la rassicurazione – falsa – di avere tutto sotto controllo.

Questo non vuol dire che la tecnologia non sia utile e vada lasciata perdere in blocco. Come scrivevo nell’articolo su Solar, la rivoluzione verde deve prima partire dalla testa, dalla mentalità. In questo senso, Maggie Gee ci mostra magistralmente anche i danni che l’altra esagerazione può causare: nel mondo del Pianeta di ghiaccio, dopo una vittoria politica schiacciante delle eco-maternaliste, le techfix vengono totalmente messe da parte e il nuovo governo è inadatto a sostenere la glaciazione in arrivo. Ho letto di recente il programma di Legambiente, quello che è stato per il momento sottoposto al nuovo governo, e credo, aldilà di tutto, che possa rappresentare un ottimo esempio di atteggiamento razionale che non nasce dal trattare la tecnologia con fiducia cieca ma neanche dallo scartarla. È molto interessante la dicotomia progetti sostenibili e progetti no nei paragrafi dedicati alle regioni, frutto di un discernimento consapevole che dovrebbe essere alla base di una transizione ecologica non di facciata.

In Qualcosa, là fuori, Livio dice alla compagna la frase lapidaria “Il progresso è solo il modo in cui chiamiamo i cambiamenti che ci piacciono”. Credo che Arpaia sintetizzi in queste parole una grande verità. Anche il concetto di progresso, come quello di casa, è al giorno d’oggi inteso in due sensi differenti: c’è il progresso che manda avanti il sistema con qualche toppa smart per non perdere l’impalcatura economica e non cambiare stile di vita e c’è il progresso che punta a realizzare un mondo sostenibile a 360 gradi prima che la catastrofe imminente ci trovi impreparati. La tecnologia in mano alla prima mentalità può essere pericolosa e peggiorare le cose (ricordiamo l’emblematico progetto di stoccaggio sotto Ravenna); in mano alla seconda mentalità invece diventa in qualche modo necessaria e riceve a sua volta, dall’accento posto sulla ricerca, la spinta per migliorarsi e svilupparsi in maniera più sostenibile possibile. Nel frattempo, la NASA ci avverte che, anche se smettessimo di immettere nell’atmosfera anidride carbonica, occorrerebbero probabilmente secoli per ristabilire un equilibrio. Scegliere quale transizione ecologica è oggi cruciale.

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