Chi ospiterà le scorie nucleari? E’ la domanda delle domande che da un po’ di tempo angoscia moltissimi cittadini che si sentono chiamati in causa da quell’elenco pubblicato a dicembre scorso dal MASE (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica) in cui sono state individuate 51 zone idonee per la costruzione di un deposito nazionale per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi.

Cosa è un deposito di rifiuti radioattivi?

Il deposito di rifiuti radioattivi progettato dalla società pubblica Sogin è destinato ad accogliere non solo le scorie delle ex centrali atomiche (circa il 60% del totale), ma anche tutti i rifiuti radioattivi della medicina nucleare, della ricerca e dell’industria. L’impianto comprenderà anche un parco tecnologico per la ricerca sui rifiuti nucleari, con un ritorno economico, per il territorio ospitante, di un milione di euro l’anno. Il progetto, dal costo di 900 milioni di euro, prevede l’assunzione di quattromila operai per quattro anni di lavori. 

Ora la prima cosa che salta all’occhio, scorrendo l’elenco dei siti selezionati, è che il Lazio è la regione più sacrificata con ben 21 luoghi, e, cosa ancor più sorprendente, tutti inclusi nella provincia di Viterbo. Le altre regioni selezionate sono Puglia e Basilicata con 15 siti, Sardegna con 8 siti, Piemonte con 5, e Sicilia con 2 siti individuati nel trapanese.

La domanda che sorge spontanea è perché solo nella provincia di Viterbo sono stati scelti così tanti siti idonei a diventare deposito di scorie radioattive?

Viterbo, una provincia ad alta criticità

Questa provincia ha delle vulnerabilità importanti, prima fra tutte quella sismica, essendo un’area di origine vulcanica con un vulcanismo secondario ancora molto presente; ma ad essa si aggiungono altre fragilità, come l’essere zona archeologica con la presenza di numerose necropoli etrusche importantissime, tra cui quella di Tarquinia che è Patrimonio dell’Unesco, o l’essere area di interesse comunitario per la ricchezza faunistica e floristica, ma anche un territorio a vocazione agricola e turistica, con prodotti di eccellenza come l’olio extravergine d’oliva, i vini e le nocciole.

La provincia di Viterbo insomma presenta delle caratteristiche che la rendono fragile e delicata, un territorio da proteggere perché conserva alcune specificità che altrove spesso sono ormai perdute. Eppure, invece di proteggerlo si decide di esporlo in prima linea, scegliendolo come una delle aree più idonee per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi.

Quali sono stati i criteri di scelta dei territori?

Sorprende scoprire che tra i criteri utilizzati per l’idoneità dei siti compare l’isolamento del deposito da infrastrutture antropiche ed attività umane. E allora come si spiega l’inclusione di Tarquinia tra i siti idonei? Il territorio di Tarquinia è tutt’altro che poco antropizzato. E’ rinomata località balneare ricca di alberghi, ristoranti e campeggi, sito Unesco per la presenza della necropoli etrusca e centro medievale frequentato dai croceristi che sbarcano a Civitavecchia. Come si può pensare che la presenza del deposito e le attività di trasporto dei rifiuti non impatteranno sulle attività economiche e turistiche di Tarquinia?

Ma tra i criteri di esclusione ci sono anche quelli delle aree vulcaniche attive o quiescenti e delle manifestazioni vulcaniche secondarie: e allora come è possibile che l’area del lago di Bolsena (intorno al quale sono presenti molti dei 21 siti ritenuti idonei, da Canino a Cellere, da Ischia di Castro a Piansano, da Tuscania a Tessennano) non sia stata esclusa considerata la sua alta criticità in virtù delle sue caratteristiche vulcaniche?

In una mia recente intervista al vulcanologo Giuseppe Mastrolorenzo, è emerso che il lago di Bolsena si estende sul graben di Siena – Radicofani, che è una fossa tettonica, cioè una porzione di crosta terrestre sprofondata a causa di un sistema di faglie, che nel tempo ha dato luogo al vulcanismo di tutta l’area del distretto vulcanico vulsino inclusa la caldera di Bolsena. Un territorio caratterizzato quindi da una sismicità attesa molto superiore a quella prevedibile per i Campi Flegrei e l’isola Ischia, secondo Mastrolorenzo. 

Fatte queste considerazioni, sembrerebbe davvero una scelta sconsiderata quella di includere la provincia di Viterbo tra le aree idonee. Per queste ragioni fin da subito le istituzioni, insieme ai comitati di quartiere, alle associazioni di categoria e alle cooperative del territorio, hanno espresso le loro motivate obiezioni al progetto, formulate nei 180 giorni successivi alla pubblicazione, nel gennaio 2021, della CNAPI (sigla che sta per Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee a ospitare il Deposito Nazionale e Parco Tecnologico). Ma sapete qual è stata la risposta? Nessuna.

La Sogin, che è la società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi non ha risposto ad alcuna delle 35 osservazioni presentate nella sola regione Lazio già nel 2021 da enti locali, associazioni e privati cittadini.

Qui apro e chiudo una parentesi: diverte osservare che una società pubblica adotti un termine inglese (decommissioning che sta per smantellamento) quando le indicazioni dell’attuale governo vanno verso una italianizzazione dei termini nella pubblica amministrazione. Ma tant’è… lo stesso nome del Ministero del Made in Italy è un ossimoro che va nella stessa direzione.

Ma torniamo alla Sogin: senza rispondere alle osservazioni, la società va avanti per la sua strada e nel marzo 2022 invia al Ministero dell’Ambiente e Sicurezza Energetica la CNAI, cioè la Carta Nazionale delle Aree Idonee (è scomparsa la P nell’acronimo, quindi non più potenzialmente… ma effettivamente idonee), che il ministero pubblica poco più di un mese fa, in cui permangono i 21 siti della provincia di Viterbo. Il resto è cronaca di questi giorni.

Ora cosa accadrà? Nel frattempo si è fatto avanti il comune di Trino Vercellese, già sede dell’ex centrale nucleare Enrico Fermi, con un’autocandidatura. Sì perché il Governo Meloni ha offerto anche la possibilità di presentare delle candidature, ma l’unico paese a proporsi è stato quello di Trino Vercellese, che però pare non rispondere a tutti i criteri necessari per l’idoneità.

A questo punto sembra avanzare l’ipotesi di spacchettare i 150 ettari previsti per il deposito nazionale tra diversi siti, per avere meno impatto sui fragili territori Italiani.

Cosa fare? Partecipare tutti

E’ per questo motivo che, per scongiurare il peggio, è stata organizzata una grande mobilitazione di cittadini ed istituzioni, con un’assemblea pubblica che si terrà il prossimo 1 febbraio alle ore 18 al Teatro Comunale Lea Padovani di Montalto di Castro, con la partecipazione del Presidente della Provincia di Viterbo Alessandro Romoli, della Presidente di Italia Nostra Sezione Etruria Marzia Marzoli, dei sindaci Emanuela Socciarelli (Montalto di Castro) e Giuseppe Cesetti (Canino), del Presidente del Comitato per la Salvaguardia del territorio di Corchiano e della Tuscia Rodolfo Ridolfi, dell’avvocato cassazionista del foro di Roma Francesco Rosi e del professor Angelo di Giorgio ordinario di Chirurgia oncologica.

Un’assemblea per dire NO al deposito nazionale di rifiuti radioattivi nella Tuscia, per dire a gran voce che quei criteri di esclusione vanno applicati anche a questa regione così fragile e dalle specificità così complesse.

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