C’è chi per divertirsi corre in discoteca, al pub, in macchina o in bici; altri, ancora, amano trascorrere del tempo affollando ristoranti e bar in spensieratezza. Il gamer moderno, quello verace ed aperto ad ogni esperienza, non si lascia sfuggire nulla. Le prova tutte, talvolta divertendosi, ma poi torna sempre nel suo dolce lido riparato. La filosofia del divertimento di un amante dei videogiochi è più vicina al pensiero di chi ama godersi un bel libro, immergersi in una storia seguendola su Netflix tutta d’un fiato oppure seduti sul divano con i propri amici.
L’habitat del videogiocatore è semplice da descrivere: un comodo divano, uno schermo bello grande per la massima immersione, cibo, birra e consolle accesa. Non c’è niente di meglio che assaporare l’ebrezza di un videogioco nuovo di pacca – magari comprato e scartato proprio nel giorno della sua uscita, dopo mesi d’attesa – e goderselo con il controller tra le mani, gustando intensamente ogni progresso fatto in digitale.
Credo che nessuno mai abbia scritto un’ode vera e propria dedicata alla filosofia di chi dice “no, stasera resto a casa, ché voglio giocare”. In realtà in questa frase molto semplice – comunissima tra gli appassionati di videogiochi – è racchiusa l’essenza vera e propria di un gioco. Il videogioco, evolvendosi in maniera rapidissima negli ultimi vent’anni, è arrivato ad un punto di maturità tale che non vuole più intrattenerti solamente facendoti compiere delle missioni o esplorare nuovi mondi, no, non gli basta più. Oggi i videogiochi ci raccontano delle storie, ci lasciano col fiato sospeso, ci spaventano e ci fanno commuovere. Sta di fatto, che una volta intrapresa un’avventura, è difficile lasciar stare o dire “la finirò dopo”, perché questa ti cattura, ti regala emozioni e soddisfazioni.
Giocare ad un videogioco, oggi, può essere comparato senza alcun problema al leggere un fumetto o romanzo, guardare un film o una serie. I videogiochi di oggi pullulano di belle storie e noi giocatori, chiaramente, ce le godiamo in tutta tranquillità. Immaginate che bello: è sabato sera e fuori piove, la pizza calda sul tavolino del salotto ti accarezza le narici facendoti brontolare lo stomaco ed il cellulare è spento. Hai appena messo le mani su quel titolo per il quale tutti hanno perso la testa, “storia commovente” dicono. Accendi la consolle ed inizi a viaggiare, in un momento esclusivamente tuo, dove non senti altra vibrazione se non quella del controller.
Sia chiara una cosa: non si dica che ai videogiocatori piaccia unicamente stare da soli. A volte si confonde la passione delle persone con una sorta di asocialità che però non esiste. Un videogiocatore gioca da solo perché per lui è una valvola di sfogo, un momento intimo con il proprio passatempo preferito – non dissimile da chi si rinchiude ore ed ore in camera a leggere un romanzo, come già detto. In realtà i videogiocatori rappresentano una comunità molto salda, anche al di fuori dello schermo da gioco. Al di là dei multiplayer e delle community online vivissime che si creano attorno a molti titoli, c’è una sorta di tribalità che accomuna tutti i videogiocatori. Non è raro, infatti, che alcuni si ritrovino nello stesso posto per giocare allo stesso gioco, seguendo magari insieme ai propri amici una trama avvincente o inedita, o semplicemente per fare tornei. Il videogiocare è il rito della tribù dei videogiocatori, una comunità che sta prendendo una forma precisa solo negli ultimi anni, in cui anche l’opinione pubblica ha dovuto cambiare idea.
Ci sono giochi in grado di farti porre delle domande sul mondo, come Assassin’s Creed; altri, decisamente meno conosciuti, che ti insegnano a lasciar andare i propri cari, come Old Man’s Journey. Qualsiasi titolo si stia giocando, la tribù dei gamer sarà sempre lì pronta a condividere la propria esperienza, dando un giudizio, un consiglio o semplicemente aiutando i neofiti nella propria avventura. Perché videogiocare è una filosofia di vita e noi, onestamente, amiamo seguirla. Indistintamente da cosa ne pensano gli altri.