Durante le festività natalizie è esploso anche da noi il caso Saltburn, il film, in Italia distribuito direttamente e solo su Prime Video, diretto e scritto dalla regista Emerald Fennell.

Nelle ultime settimane, semplicemente scrollando TikTok o Instagram non si poteva evitare di entrare in contatto con una tra le tante iconiche scene del film che sono state reinterpretate più e più volte dagli spettatori ammaliati dalle atmosfere di Saltburn.

In questo articolo vorrei cercare di spiegare perché, secondo la mia visione, Saltburn può a pieno titolo definirsi un’opera queer.

“Saltburn”, definizione di queer

Ma iniziamo dando una definizione di queer: originariamente nella lingua inglese assumeva il significato di eccentrico, insolito. Via via, però, è stato assunto come definizione applicata a qualcosa o qualcuno/a che non corrispondeva alla definizione di cisgender o eterosessuale.

Usato spesso come offesa, il termine è stato poi assunto dalla comunità LGBT+ come simbolo di orgoglio, fierezza e appartenenza e per definire la cultura della non obbligatoria appartenenza a questa o quella etichetta. In questo senso abbraccia anche un approccio critico e ribelle nei confronti delle norme sociali legate al genere e all’orientamento sessuale.

Può, inoltre, indicare una prospettiva che sfida le convenzioni, esplorando e celebrando la diversità delle esperienze sessuali e di genere. In questo senso può, quindi, essere utilizzato come un’etichetta di autoidentificazione positiva, sia individualmente che collettivamente, come ci ha anche insegnato Michela Murgia.

Un disturbante manifesto di liberazione

Ma torniamo a Saltburn. Emerald Fennell, già fortunata regista di Una donna promettente e coautrice della serie tv Killing Eve, con Saltburn alza il velo della normalità e trasforma una storia di college in un disturbante manifesto di liberazione anche se alla luce di una assenza di moralità. Uso il termine disturbante volutamente perché l’intento della Fennel è evidentemente quello: creare disturbo nello spettatore sia nella scelta delle ambientazioni, sia in quella dei contenuti di alcune scene iconiche, sia nella modalità in cui le relazioni prendono vita seguendo piste inaspettate.

In questo senso voglio definire Saltburn un’opera queer, proprio perché rigetta le etichette della prevedibilità nelle dinamiche (sessuali, sociali, relazionali, …) tra i protagonisti e esplora temi di classe, la manipolazione e l’ossessione in modalità imprevedibile.

“Saltburn”, la trama

La trama segue la storia di Oliver Quick, un giovane studente universitario, apparentemente nerd e socialmente impacciato, che viene ammesso al college grazie a una borsa di studio. Oliver è ossessionato da Felix Catton, un altro studente universitario che lo intriga con il suo aspetto, la sua presenza e la sua provenienza dalla classe influente. Felix offre ad Oliver di passare le vacanze nella sua casa di famiglia, una magione labirintica, dove si sviluppa una relazione morbosa tra i due ma anche con il resto della famiglia. L’autrice non esita a esplorare le sfaccettature più oscure e provocatorie di questa relazione, portando alla luce desideri nascosti e conflitti interiori.

Non darò altri particolari per non spoilerare ma aggiungo solamente che il film segue la trasformazione di Oliver da un outsider a un membro dell’élite in una modalità che passa per la patologia personale, la pianificazione ossessiva, il possesso e l’impossessamento.

Il film è, forse furbescamente, queer anche per la scelta estetica in grado di attivare desiderio, interesse e attrazione nello spettatore a partire dal respingimento iniziale determinato dai contesti e dalle situazioni rappresentati.

Complici di questo intento gli attori, a partire da uno straordinario Barryh Keoghan, in grado di mettere in scena tutti i paradossi, le contraddizioni e gli aspetti psicopatologici di Oliver, a Jacob Elordi (Felix) per finire a Rosamund Pike.

Molte le scene del film che sono  diventate virali sui social. Di queste non potrò citarne una perché svelerei il senso della trama ma di essa mi limito a dire che è un richiamo netto ad alcune atmosfere ossianiche o ai legami morbosi descritti da Edgar Allan Poe o da Emily Bronthe in Cime Tempestose che, tutto sommato, sono tra i riferimenti principali che si leggono tra le atmosfere ricreate da Emerald Fennel. Andate a vedere il film e capirete di cosa parlo.

Su tre scene, invece, posso soffermarmi. Scene che, secondo me, rappresentano appieno l’estetica disturbante  scelta dalla Fennell.

La prima è quella della vasca da bagno: un’immersione nei confini fluidi dell’intimità e del desiderio. Fennell affronta il tema della vulnerabilità con una maestria straordinaria, trasformando momenti di apparente quiete in una dichiarazione intensa sulla complessità delle relazioni queer. La vasca da bagno diventa così il palcoscenico di un dramma emotivo che sfida gli spettatori a riflettere sulla natura mutevole dell’affetto. Oliver spia Felix in un momento di autoerotismo nella vasca da bagno e, quando l’oggetto della sua ossessione lascia la stanza, Oliver si lascia andare ad un momento di estasi che culmina con l’adorazione dei rivoli di fluidi e liquidi lasciati nella vasca da Felix. Disturbante ma emblematico del rapporto di possesso.

La seconda, quella della seduzione di Venetia: Oliver, nel suo processo di conquista di Saltburn, tesse la sua trama anche nei confronti della sorella di Felix, Venetia, una ragazza fragile e distante anche nel look dalle atmosfere high class del resto della famiglia. La seduzione culmina in una scena in cui Oliver vampirizza Venetia a partire dai suoi fluidi mestruali. I am a fucking vampire sussurra Oliver a Venetia.

Il climax del film è, però, la scena finale in cui Oliver balla nudo al ritmo di Murder on the Dancefloor: la sua vittoria. Oliver diventa l’anima (oscura) di Saltburn, percorre e si impossessa di tutte le stanze con questa danza improvvisata al ritmo della popolare hit del 2001 di Sophie Ellis-Bextor, tornata a nuova giovinezza come lo scorso anno Running Up that hill di Kate Bush grazie a Stranger Things.
Se andate su Tiktok vedrete quante persone, celebri o no, abbiamo rimesso in scena questa performance. In questa clip, alla fine, potete vedere uno stralcio della scena.

Saltburn è un capolavoro? Nonostante le candidature ai BAFTA e ai Golden Globe direi di no per le imperfezioni nella sceneggiatura, la non linearità nella descrizione emotiva dei personaggi, una certa mancanza di profondità e per il suo stile eccessivamente pop e grottesco. Però si erge comunque a manifesto queer come fosse una voce stridula e inaudita che rifiuta di essere zittita e che invita gli spettatori a liberarsi dai vincoli delle aspettative sociali.

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