Con il nostro blogger e attivista Marco Reggio raccontiamo la realtà dei rifugi per animali liberi e ripercorriamo la storia di Cuori liberi, diventato famoso lo scorso autunno per una vicenda tanto dolorosa quanto simbolica che vede protagonisti un gruppo di volontari e… dei maiali. Gli uni in lotta per la vita degli altri, ed è proprio questo il senso di tutto.

“Cuori Liberi”. Animali liberi da ogni sfruttamento

Li chiamano anche santuari interspecie, perché in questi luoghi gli animali cosiddetti da reddito – cioè da carne e da latte – possono vivere affrancati da ogni forma di sfruttamento e di lucro. Sono comunità in cui si coltivano relazioni di affetto e di cura reciproca tra animali umani e non, restituendo all’ animale quella dignità che il sistema dell’allevamento intensivo ignora e calpesta. Visitandone uno potremmo renderci conto, ad esempio, che una mucca non è una macchina da latte bensì un mammifero femmina… Dov’è la differenza? Le nostre abitudini quotidiane ce la nascondono, ma è proprio nei santuari che possiamo vederla, capirla, e magari capire e fare nostre le istanze antispeciste.

Ma perché il rifugio Cuori Liberi, in provincia di Pavia, è salito agli onori delle cronache? Perché è diventato terreno di un durissimo scontro tra due logiche inconciliabili: quella di un’industria da otto milioni di capi e relativi profitti, e quella di chi crede che un animale abbia diritto alla vita, alle cure, o quanto meno a una morte dignitosa tanto quanto un essere umano. 

Nel caso di Cuori liberi la prima ha avuto la meglio, complice un protocollo europeo che non distingue tra una catena produttiva e una comunità multispecie. Ma forse la coscienza collettiva dopo quel trauma si è svegliata ed è pronta a scendere in piazza, accanto a chi antispecista lo è da anni come il nostro Marco, per un riconoscimento della specificità dei santuari e per l’avvio di una riconversione: dal cibo animale al cibo vegetale, dallo sfruttamento alla convivenza. 

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