Inizia con l’esplosione di una fabbrica di fuochi d’artificio in un piccolo paese vicino la riviera adriatica, il libro di Kristine Maria Rapino, Scialacca (Sperling & Kupfer, pp 320, euro 18,90).

Gli abitanti del paese, dopo aver ascoltato a un forte boato, pensano di trovarsi di fronte a un terremoto, mentre il cielo si illumina di fiamme alte e l’aria si impregna dell’odore di salnitro e di zolfo. La stessa esplosione pone fine al romanzo, dopo il lungo percorso di un racconto circolare sviluppato con maestria, senso del ritmo e, soprattutto, una grande capacità di gestire e rappresentare i dialoghi tra i personaggi.

Nonostante la giovane età, Rapino si fa forte della sua esperienza di editor e di insegnante di scrittura creativa. Si muove con disinvoltura in una storia familiare raccontata con efficacia senza avvalersi di nessun ammiccamento furbescamente “letterario”.  L’autrice cerca di aderire alle dinamiche delle relazioni tra gli esseri umani che sono i protagonisti del romanzo, insieme alla natura, presenza discreta ma attiva in molte situazioni e insieme anche al caso e a quello che lei evoca di frequente con il nome di “provvidenza”.

La “scialacca”

La “scialacca” è quell’ingrediente naturale, privo di tossicità, impiegato per la creazione di vernici, nell’industria della carta, ma soprattutto, come nel caso in questione, per la realizzazione di fuochi d’artificio.

Emerge così, gradualmente, tra metafore e riferimenti religiosi riportati a una dimensione laica, come il fine della narrazione e delle vite dei protagonisti sia la loro redenzione e, in definitiva, forse addirittura la salvezza dell’umanità.

L’esplosione dell’inizio può assumere perfino l’aspetto grandioso del big bang della creazione. Quella che si propone alla fine del libro, invece, assomiglia piuttosto a una sorta di giudizio universale. Il tutto in un microcosmo narrativo che basta a se stesso, nonostante alcune digressioni “fuori porta”.

La trama

La vicenda è abbastanza semplice: una volta “messi in campo i personaggi” Rapino riesce a farli muovere molto bene coinvolgendo figure e ambienti di secondo piano, ma assolutamente funzionali.

Francesco è un giovane uomo che dopo diversi anni di “fuga” polemica dalla famiglia torna a casa piuttosto malridotto, ma non sconfitto dalla realtà né dalla sua storia. Con lui la sua ragazza Aria e, di fronte a loro, Gillo il fratello maggiore che non gli ha mai perdonato quella rottura e soprattutto il dolore che, di conseguenza, ha causato alla madre Adriana. Naturalmente, la storia prosegue e si evolve, ma non è qui il caso di raccontarla.  Quello che si può facilmente rilevare, invece, è l’evidenza della relazione tra la parabola del figliol prodigo e quello che Rapino racconta.

Allora, un po’ imprudentemente, nella scrittura di Rapino affiora la metafora, specialmente quando sceglie di parlare della vita delle persone: per una disabile, il “nuotare” nell’acqua senza perdere volontà e speranza; per un amico, l’amore per il volo; per il giovane delfino nuotare attaccato alla madre. Per il cieco quando si dice che la differenza con gli altri è “solo che hanno nove decimi in più …”. Tutto all’insegna di una scelta di vita che si fonda sulla speranza e su una scelta fondante: stare dalla parte degli ultimi.

Rapino non ha paura di schierarsi anche quando affronta temi scomodi per un mondo cattolico che, sebbene travagliato, risulta piuttosto statico e monolitco. Uno su tutti quello dell’omosessualità.

Rapino infatti non si muove su un versante di religiosità bigotta né le interessa, in questo contesto, la dimensione mistica della fede, ma cerca di aderire al principio di misurarsi con le diverse fragilità del mondo e delle persone. Lo fa mantenendo il piglio della scrittrice autentica, unito a una freschezza poco comune nell’ambiente letterario contemporaneo. Ben riuscite sono le pagine in cui si discute sul mestiere di produrre fuochi di artificio tra alchimia, magia e misticismo o forse no: niente di tutto questo. Ancora metafore? Probabilmente. Ma siamo di fronte a una scrittrice di spessore anche se qualche volta impetuosa. Le perdoniamo facilmente qualche forzatura con un invito sincero a entrare più in profondità nel dolore degli altri, oltre a quello dei suoi protagonisti e oltre le sue ottime intenzioni.

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