Scendo dalla barca e cammino sulla mia terra. Penso alle persone che hanno percorso la strada per andare verso la città seguendo il miraggio di una vita felice e si sono trovate davanti a un muro di cemento invalicabile.

Delia con indolenza alza il braccio e mi indica la casa dove è cresciuta, una casa rossa, con un pergolato davanti. Tenevamo i vestiti sulla ringhiera delle scale, perché eravamo in molti e non c’erano armadi abbastanza.

Scuote la testa e sospira. Mia madre diceva che i figli sono come veleno e che mai si dovrebbero mettere al mondo.
Poi guarda giù verso la strada che porta in città. Pensavo che quel giovanotto grosso, coi baffi neri, con degli alti stivali, che chiamava con un fischio il suo cane, sarebbe stato il mio fidanzato e molte ragazze in paese ne avrebbero pianto di rabbia.

Unire la propria vita a quella di un altro è un atto delicatissimo. La scelta viene fatta in base alle priorità che in quel momento si ritengono importanti. Spesso ci aspettiamo che la vita di coppia ci porti alla risoluzione delle nostre più profonde paure.

Siamo entrambi equilibristi sulla stessa corda
anche se destinati a due abissi diversi.

Canta la poetessa Amal al-Juburi

Per Delia il matrimonio doveva essere il riscatto da una vita di privazioni. Era la sua priorità, non vedeva altre soluzioni per uscire da quel mondo che non amava. C’erano delle ragazze che andavano a scuola, andavano al mare d’estate, ballavano, scherzavano fra loro di sciocchezze. Perché non ero una di loro? Perché non era così la mia vita?

Ma quella che doveva essere una via d’uscita è diventata una trappola, un vicolo cieco. Sposando quell’uomo, mettendosi al riparo dalla vita, ha dovuto rinunciare ai propri sentimenti.
L’unica possibilità per sopravvivere a quel matrimonio senza passione è l’apatia, mettersi in stand by e aspettare che il tempo passi.

Passavo le giornate a letto e verso sera mi alzavo, mi dipingevo il viso e uscivo fuori, con la volpe buttata sulla spalla.
Dice lei distratta dal ricordo di un antico amore che non è mai riuscita a far sbocciare.

Natalia Ginzburg, La strada che va in cittàEinaudi

Estratto

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