La poesia è un corpo vivo e quando il poeta intreccia le parole con le immagini, con il ritmo e la musicalità, e persino con gli spazi bianchi del testo, accade un piccolo miracolo: riproduce la verità delle cose. Se poi la silloge è ben organizzata, è pure capace di narrare una storia completa in ogni sua parte, e di riscrivere la realtà. Tutto questo è successo nel 2018 con Dolore minimo (Interlinea), la raccolta d’esordio di Giovanna Cristina Vivinetto con la presentazione di Dacia Maraini. 

I versi hanno ispirato la recente serie di successo Prisma prodotta da Amazon Prime, e hanno ricevuto prestigiosi consensi unanimi come il Premio Viareggio Rèpaci Opera Prima, il Premio Internazionale Senghor, il 63° Premio Ceppo Pistoia 2019 Selezione Poesia Under 35. 

Nel teen drama Prisma sono narrate (grazie alle belle penne degli sceneggiatori di Skam Italia) le vicende di un gruppo di ragazzi di Latina, in particolare dei gemelli Andrea e Marco. La trama cavalca un turbine di relazioni e di tentativi di comprendere quale sia il proprio posto nel mondo, anche partendo dall’identità sessuale.

In Dolore minimo l’autrice annoda il corpo transessuale alla materia della natura e poi lo restituisce alla memoria di quel che è stato, e alla consapevolezza di quel che è nel presente. I versi raccontano una vita vera con tutti passaggi che segnano il cammino di una/un transgender.

Il lettore viene preso per mano e assiste ad ogni passaggio dell’anima e del corpo:  dalla scoperta sino a giungere all’accettazione. In mezzo, una gamma notevole di aspetti che la cosiddetta normalità neppure sospetta. 

Giovanna Cristina Vivinetto, poetessa originaria di Siracusa, oggi insegnante a Roma, dimostra una grande consapevolezza: la poesia, per sua stessa natura breve ed esatta, è capace di chiarezza e realtà. 

Nel 2020 Vivinetto prosegue il suo diario in versi con la raccolta edita da Bur Rizzoli, Dove non siamo stati, dove la transizione non è più quella del corpo se non nel ricordo di un tempo trascorso, ma la somma dei passaggi salienti delle nostre esistenze.

Giovanna Cristina Vivinetto

Rinascere il proprio corpo 

Tutti gli umani sono domande senza risposta, ma con Dolore minimo, Vivinetto rivela con la poesia quello che altri non hanno saputo mostrare abbastanza: la transessualità nella sua essenza sterminata, un prisma di dolori, gesti e di silenzi, di confronti e illusioni. E pure di bellezza e sogno.

L’autrice si muove agilmente e con sincerità tra vecchi interrogativi e nuove consapevolezze. Al centro c’è il corpo che si disfa di sé e si riempie di un nuovo esistere, in un gioco di pieni e di vuoti che sembra non fermarsi mai. 

Non mi sono mai conosciuta 

se non nel dolore bambino

 di avvertirmi a un tratto

così divisa. Così tanto 

parziale.

E poi, si può essere nuovi padri e madri di se stessi se s’intraprende la transizione? Sì, risponde Vivinetto, soprattutto se in ballo c’è una rinascita.

Amatissima figlia

ritorno a te per farmi madre 

di un’altra sconosciuta,

 amatissima me

che mi è nata dentro quando

 tutto il resto poteva mancare.

C’è spazio anche per una nuova sorellanza. La poetessa racconta con semplicità un incontro casuale. 

Potresti essermi sorella

di carne, intrecciata per le costole.

La delicata cadenza delle mani

a sfiorare il mento, il collo, il viso

 la riconosco. Un tempo era mia. 

Così costruisci la tua identità, 

proteggi i segni di un esistere 

antico. Un filo di barba residua,

 lo sporgere virile delle clavicole, 

la fossa concava del mento,

il pomo che inchioda alla colpa.

Incontro i tuoi occhi sfuggenti 

come anguille. (…)

Ritrovare le storie per riconoscere l’altro 

Anche in Dove non siamo stati il viaggio è posto al centro della parola, ma sceglie un altro percorso e coinvolge i corpi degli altri.

È l’autocoscienza a giocare la partita principale, è la volontà di riconoscersi l’atto poetico e politico.

Grazie alle storie possiamo andare dove in realtà non siamo mai stati.

Perché tornare indietro era impossibile

provammo a fare come se nulla

fosse mai accaduto. Sulla tavola

le posate venivano sistemate come allora,

i gesti apparentemente disinvolti

in larghi movimenti di braccia,

gli abiti ordinati per stagione

affinché non tradissero l’immutare

del tempo (…)

L’Alzheimer tutto cancella, ma a prezzo di pause sempre più brevi e sempre più dolorose, a tratti concede di riprendere il filo della propria esistenza. Ecco il tema di un’altra transizione, quella tra un prima e un dopo, tra ciò che si è adesso e ciò che si era prima.

Per la prima volta hai capito

che esiste un dolore immensamente 

più forte, più straziante della morte.

Ricordare all’improvviso tutta una vita 

che si credeva non avere vissuto mai.

Oppure la malattia diventa una benedizione. Consente di tornare indietro e di alleggerirsi dalle zavorre dell’esistenza.

Concederti la grazia di non sapere

era l’atto più dolce nell’insinuarsi 

della malattia tra le pieghe della veste 

e i filamenti che tengono la mente.

La raccolta spinge versi e storia, ritmo e immagini. Ma anche in questo caso, come in quello di Dolore minimo, il risultato finale trascende la pagina e racconta una storia trasformandosi in un complesso e lungo romanzo familiare.

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