Babygirl esce in Italia il 30 gennaio e credo che sarò in prima fila, non avendo avuto modo di vederlo a Venezia.

Abbiamo tutti una piccola scatola nera piena di fantasie proibite che potremmo non confessare mai a nessuno – dice la regista olandese, Halina Reijn, dichiaratemente femminista e al suo terzo lungometraggio. Sono affascinata dalla dualità della natura umana e questo film è un tentativo di far luce, senza giudicare, sulle forze contrapposte che compongono le nostre personalità.

Per me il femminismo è la libertà di studiare la vulnerabilità, l’amore, la vergogna, la rabbia e la bestia interiore di una donna. Invecchiare significa affrontare l’infinità del tutto. Nella mezza età non possiamo più nasconderci e siamo costrette ad affrontare i nostri demoni; più reprimiamo la nostra ombra, più pericoloso e dirompente può diventare il nostro comportamento.

La relazione al centro di Babygirl consente a Romy e Samuel di mettere in scena la loro confusione riguardo a potere, genere, età, gerarchia e istinto animale. Nonostante i tabù, la gioia di quell’esplorazione è liberatoria e persino curativa“.

Babygirl, i temi in ballo

I temi in ballo sono l’eterno quesito su sessualità ed erotismo, ma anche sessualità e genere (con l’indagine sui ruoli di potere), sessualità e famiglia, sessualità ed età. In realtà, mi pare, il cuore della questione sia il consenso legato alla sottomissione femminile (cis) in rapporto alla dominazione maschile (sempre cis).

Film che raccontano una relazione master-slave ce ne sono a bizzeffe, dai porno alle sofisticate sceneggiature con atmosfere tensive. Il mio preferito, forse tra tutti i film che raccontano storie d’amore, è Secretary, di cui ho parlato in un vecchio articolo che trattava di DBSM (insieme di pratiche relazionali e erotiche di cui il bondage fa parte), e del fatto che Master (o Mistress) e Slave possono essere semplici ruoli in un incontro occasionale o profonde indoli (se esercitati nel tempo in una relazione duratura).

Questo film però è nuovo. Prima di tutto perchè a parlare di sottomissione femminile è una donna e una femminista. In secondo luogo, perchè la sottomissione della protagonista (Kidman) in Babygirl è raccontata come forma di empowerment, di autoaffermazione e autodeterminazione (in questo video su Le Figaro, la Kidman beve un bicchiere di latte, citazione dal film, come segno di sottomissione consensuale davanti al suo pubblico, al gala del National Board of Review), e questo fatto non toglie tensione a un tipo di erotismo che, di solito chiede invece di essere rappresentato senza alcuna trasgressione dei ruoli di potere, i quali devono restare fissi, fissati, per restare efficaci e funzionali all’immaginario Master-Slave.

La trama

Kidman è una potente amministratrice delegata che si trova a mettere a repentaglio la carriera e la famiglia quando inizia una relazione passionale con un suo stagista molto più giovane. E qui subentra anche il tema della sessualità della terza età (su cui rimandiamo a Age Pride di Lidia Ravera) e dei toy boy, di cui ho parlato in questo articolo facendo coming out come cugar.

Del resto, già Saffo scriveva

Della lotta con te, come di bere quando ho sete, così ho desiderio”,

mentre, negli scavi di Bam (Persia) sono stati ritrovati manoscritti che dimostrano come la restrizione dei normali movimenti del corpo a scopi erotici fosse già praticata dai Medi (antico popolo iranico, VI sec. a.C.).

L’arte del bondage occidentale contemporaneo, tuttavia, deriva da quella giapponese dello Shibari (o Kinbaku). In particolare l’hishi è oggi diventata icona tra le varie tecniche giapponesi e prevede sequenze sofisticate di passaggi di corda e di nodi, effettuati lungo l’asse anteriore e posteriore del corpo, costruendo delle figure geometriche a rombo da cui prende il nome (hishi, diamante). Stiamo parlando del talento di chi pratica la costrizione fisica e mentale del partner nel saper sviluppare emozioni intense sia in chi viene (consensualmente) costretto sia in chi (eventualmente) guarda.

La psicoterapeuta ad indirizzo psicoanalitico Eleonora Calagreti, docente del corso per operatori Oeas (Operatore Emotività Affettività Sessualità) presso l’associazione Lovegiver, spiega:

Anche nel dibattito psicoanalitico contemporaneo, la parola perversione, già cancellata dalla nosografia psichiatrica, per fortuna sta scomparendo. Nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) si parla infatti di parafilie, preferenze sessuali non patologiche, e comprende il feticismo, il drag, l’esibizionismo, il voyeurismo, sadomasochismo, etc. E’ importante sottolineare che, se da una parte oggi non c’è più un solo ordine morale prestabilito la cui trasgressione determinava la categorizzazione del comportamento quale perverso, se mi arriva in seduta un* paziente che mi porta come sofferenza la sua pratica sessuale, ad esempio quella di Master o Slave, non posso non trattarla come tale, ossia come sintomo da prendere in carico“.

Oggi, con l’evoluzione degli studi sull’identità di genere (da binario a spettro), con la decostruzione del patriarcato, con l’educazione sessuo-affettiva, sappiamo che il modello della sessualità genitale basato sull’immaginario cisgender ed eteropatriarcale non è fondativo ma assunzione culturale:

Non ci sono godimenti normati, piaceri giusti o sbagliati – continua Calagreti. La differenza la fanno appagamento o sofferenza. Conta solamente questo, a mio avviso. Se tra due o più persone si sviluppa una pratica che porta appagamento, è consensuale, non reca danno o sofferenza ai singoli partecipanti, non vedo il problema. Se, viceversa, la pratica diventa il soggetto della relazione, coazione che schiaccia, annienta, polverizza, imprigiona il desiderio della persona, impedendone la libertà di compiersi ed esprimersi, e trasformando il* partner in componente indifferente, allora mi aspetto una dimensione di sofferenza“.

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