Non bisogna diventare un geologo come me per subire la fascinazione dei fossili. Ricordo il mio primo ritrovamento casuale alle elementari. Frequentavo la scuola statale Giacomo Leopardi, una meravigliosa struttura di padiglioni immersi dentro una pineta sulla collina di Monte Mario a Roma, dove alla ricreazione non ci era consentito di giocare a pallone e quindi o di nascosto giocavamo con delle pigne oppure passavamo il tempo a rincorrerci o a giocare con la terra.

E da quella terra sabbiosa venne fuori un giorno una conchiglia, tutta incrostata di sabbia ma una bellissima conchiglia! E poi nei giorni seguenti scavando ne uscirono altre di altre forme, alcune che conoscevo, simili a quelle che trovavo al mare, altre mai viste. E così nacque la passione che poi passò anche ai minerali e alle rocce, ma soprattutto la passione per la meraviglia della scoperta.

Ammoniti e minerali

I fossili, la geologia

Molti anni dopo, quando ebbi la fortuna di poter lavorare alla nuova carta geologica di Roma, capii che quei fossili trovati da bambino erano la testimonianza del mare di circa 1.8-1.5 milioni di anni fa, all’epoca profondo circa -40 m, che riceveva come oggi i sedimenti di un fiume simile al Tevere che drenava l’Appennino e nel quale i fossili testimoniavano l’alternarsi dei periodi glaciali e interglaciali, con la comparsa e poi scomparsa di molluschi che amano il freddo, seguiti dalla comparsa e poi scomparsa di quelli che amano il caldo.

Uno straordinario strumento conoscitivo che consente alla geologia di contribuire in maniera fondamentale alla comprensione del cambiamento climatico attuale nel contesto del cambiamento climatico globale attraverso le ere geologiche. E che dimostra in maniera inequivocabile (checché sparuti pseudoscienziati negazionisti cari al nostro governo ne dicano) che quanto sta accadendo nel presente è un’anomalia spiegabile solo con l’impatto delle attività umane.

La paleontologia che studia i fossili come branca della geologia è dunque una disciplina fondamentale, sulla quale è costruita la nostra conoscenza dell’evoluzione della vita sulla Terra in relazione alle condizioni ambientali. Descrizioni di fossili ce ne sono nella storia dell’umanità sin da quelle di Aristotele o Leonardo da Vinci associate a varie teorie sul loro ritrovamento, che non trovarono collocazione sino all’epoca moderna quando pian piano si fecero avanti sia la scoperta del tempo profondo (come la descrive Stephen J Gould in un suo magnifico libro ahimé ormai introvabile dal titolo La freccia del tempo, il ciclo del tempo), ossia quella imponente rivoluzione culturale che nel mondo occidentale scardinò la versione biblica della terra creata da dio 6000 anni fa, sia la teoria dell’evoluzione concretizzata dal geologo Charles Darwin. Ma per giungere a questi risultati fondamentale furono i ritrovamenti dei fossili, la comprensione della stratigrafia delle rocce in cui venivano trovati e dunque lo sviluppo degli studi sulla comparsa, evoluzione ed estinzione delle specie.

Mary Anning, la storia

Una delle storie più straordinarie di questa età dell’oro della paleontologia è quella di Mary Anning, una ragazza inglese di umile famiglia, nata vicino alle scogliere del Dorset, dove una sequenza di strati rocciosi del Giurassico [Periodo geologico parte del Mesozoico che va da circa 201 a 145 milioni di anni fa] si gettano a precipizio nel mare, continuamente battuti dalle onde e dunque soggetti spesso a ciclopici crolli.

Mary, nata nel 1799 fin da bambina notò come in alcuni di questi blocchi caduti erano presenti strane forme, impronte che sembravano ossa, alcune grandi molti più di qualunque animale conosciuto e crani che potevano apparire mostruosi. Mary era curiosa e anche molto coraggiosa perché iniziò a frequentare quelle scogliere sempre più da vicino, capendo non solo che a volte, come in un puzzle, i pezzi trovati in blocchi diversi si potevano ricomporre a formare forme più complete, ma che se si fosse messa a scavare nelle rocce stesse della scogliera avrebbe forse potuto trovare resti completi che formavano gli scheletri di animali mai visti, alcuni grandissimi e di straordinaria perfezione. E Mary Anning non è solo una cercatrice, ma anche una vera scienziata perché disegna quegli scheletri, li ricostruisce con precisione indovinandone le forme e le proporzioni.

Quella passione la spinse anche a voler studiare, ma a una ragazza di famiglia umile non era permesso di diventare una scienziata. Per cui iniziò a vendere i suoi meravigliosi pezzi, la cui fama presto giunse negli ambienti accademici e Mary iniziò ad avere le visite e gli acquisti da parte dei più grandi geologi dell’epoca come William Buckland ma anche discussioni scientifiche con personaggi del calibro di George Cuvier.

Mary Anning ha scoperto, descritto e consegnato alla scienza una incredibile quantità di resti fossili dell’epoca dei dinosauri tra cui i migliori e più importanti resti di ittiosauro ed il primo scheletro di plesiosauro. Rimase autodidatta, ma capace di tenere testa ai migliori paleontologi dell’epoca che ebbero per lei grande ammirazione e rispetto, ma, nonostante ciò, in quanto donna, non ebbe mai accesso al mondo a cui sarebbe dovuta appartenere e, nonostante l’interessamento di alcuni come William Buckland e le raccolte fondi a suo beneficio della Geological Society, morì in difficoltà economiche a Lyme Regis, suo paesino di nascita, nel 1947.

Ad oggi che io sappia esiste un solo libro-romanzo sulla vita di Mary Anning che vi consiglio di leggere, dal titolo Strane Creature, scritto da Tracy Chevalier nel 2009 ed edito da Neri Pozza, ed un film del 2020 dal titolo Ammonite di Francis Lee con Kate Winslet.

Ma bisognerà aspettare il 2010 perché la Royal Society inserisca Mary Anning nella lista delle 10 donne inglesi che hanno maggiormente contribuito all’avanzamento della scienza e ciononostante, come purtroppo spesso capita, Mary come moltissime altre donne di arte scienza e cultura continuano ad essere perlopiù ignorate dai libri di testo e dalla narrazione dell’evoluzione del pensiero umano, lasciate nei casi migliori all’intitolazione di qualche sperduto viale nei parchi che nessuno vede. E’ tempo di cambiare!

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