Il tema cruciale dei prossimi 50 anni sarà la nostra relazione con la Terra, un sistema fisico-chimico-biologico-sociale complesso, in perenne disequilibrio e alla ricerca continua di equilibri transitori. Il suo funzionamento è fatto di relazioni tra tutti i suoi elementi, cui si sovrappone il complesso delle attività umane: i sistemi sociali, le comunità umane, le catene di produzione, consumo e approvvigionamento, le reti tecnologiche e infrastrutturali.
E’ evidente che vivere salvaguardando l’ambiente naturale non è cosa facile. L’essere umano è un potente modificatore degli equilibri ecosistemici, che tende a sostituire con i suoi artificiali, sovraimposti, sistemi tecnologici. Inoltre, da tempo siamo consapevoli di poter arrecare gravi danni all’ambiente. Come indicano Bonneuil e Fressoz nel loro libro del 2019 La Terra, la storia e noi, le classi dirigenti inglesi di 250 anni fa erano ben coscienti degli effetti collaterali della rivoluzione industriale sul lungo periodo. Oggi questa consapevolezza è sempre più diffusa a livello di opinione pubblica e a differenza del passato, si è tutti più o meno consapevoli di condurre uno stile di vita non sostenibile su un pianeta che ha risorse finite. Ma forse non è ancora chiaro che quella che ormai la maggioranza degli scienziati considera un’emergenza climatica, con tutte le implicazioni economiche, sociali, e culturali che essa comporta, è stata determinata da precise decisioni politiche e scelte economiche, e anche forse da un consenso o quantomeno un’indifferenza sociale che di fatto ha permesso che quelle decisioni diventassero operative.
L’essere umano è un costruttore e modificatore del suo spazio vitale sulla Terra, al punto che oggi non esiste nessun luogo del pianeta con una natura completamente incontaminata. I disastri ambientali di origine antropica possono avvenire anche in luoghi disabitati, dove la natura può considerarsi tutto sommato intatta, e provocare una distruzione di proporzioni enormi, con ripercussioni planetarie. Tuttavia, modificare l’ambiente naturale in cui si vive non significa automaticamente distruggerlo. Esistono straordinari esempi di comunità umane che sono state in grado di operare su un sistema ecologico rispettandone equilibri e dinamiche, dimostrando che quando l’essere umano agisce responsabilmente, consapevole di essere parte integrante di quell’ecosistema che va a modificare, allora nel definire lo spazio vitale della propria specie cerca un compromesso che sia funzionale alla propria vita, all’esistenza delle altre specie viventi e anche alla conservazione degli elementi abiotici che sostengono la vita.
Quindi è possibile trovare nuove strade per correggere gli errori fatti fino ad ora, ma si dovrà necessariamente tener conto di aspetti fondamentali come la conoscenza, l’informazione e l’azione.
Oggi la nostra conoscenza dei problemi globali può avvalersi di due grandi strumenti che sono la scienza e la tecnologia. La comunità scientifica osserva da decenni cosa sta accadendo sul nostro pianeta, ha affinato le sue tecniche e i suoi modelli predittivi. In merito al riscaldamento globale più del 90% degli studiosi ha ormai verificato e condiviso le evidenze, ha riconosciuto le cause della sua origine, in particolare l’uso dei combustibili fossili che da decenni va incrementando la quantità di gas serra nell’atmosfera, ed ha anche realizzato scenari predittivi sui probabili effetti futuri indotti dall’aumento delle temperature e dell’impatto umano sugli ecosistemi. Tali effetti sono ormai ben noti: lo scioglimento dei ghiacciai, l’acidificazione degli oceani e la conseguente alterazione delle catene alimentari, la deforestazione, la riduzione della biodiversità, come pure l’incremento dell’esposizione umana a patogeni presenti in altre specie, di cui il Covid-19 è esempio evidente.
La conoscenza scientifica è senza dubbio la chiave per organizzare una risposta sistemica, adattativa e resiliente ai cambiamenti innescati, oltre al fatto che conoscere ci aiuta a circoscrivere le nostre paure del futuro. Essa deve essere trasmessa ai politici e ai cittadini e per questo diventa cruciale l’informazione, il ruolo dei comunicatori e dei mediatori dell’informazione, che rappresentano l’interfaccia tra scienza, politica, e gente comune e che pertanto hanno grandi responsabilità, di cui non sempre sono consapevoli.
Pertanto, è necessario che chi lavora nel settore dell’informazione, ma anche chi parla in televisione o sui nuovi media a vario titolo, si assuma definitivamente le sue responsabilità, che non sono semplicemente quelle di informare, ma di fornire un’informazione qualificata. Un giornalista non può ignorare le differenze che ci sono tra osservazioni empiriche e ipotesi, tra dati e modelli interpretativi, deve conoscere il significato di concetti imprescindibili nella scienza come la probabilità o l’incertezza, deve essere capace di distinguere ciò che è validato da dati scientifici da ciò che è solo opinione, deve sapere che quando si trattano fenomeni planetari come il riscaldamento globale, un episodio circoscritto di raffreddamento del clima è un evento locale che occorre inquadrare nel più grande trend climatico planetario che si articola su scale temporali e spaziali ben più ampie. Il diritto dei cittadini alla corretta informazione deve essere garantito con la professionalità, la competenza e l’accuratezza.
Ma conoscenza e informazione non bastano: poi bisogna agire, avendo di fronte differenti prospettive spaziali e temporali. Un’azione finalizzata a costruire una nuova relazione con il pianeta deve basarsi su due pilastri fondamentali: la prevenzione e l’educazione geo-ambientale.
La prevenzione è la risposta moderna, razionale e prudente ai rischi cui siamo sottoposti: vale per un terremoto, per il dissesto idrogeologico, come pure per una pandemia. E la prevenzione non è solo un vantaggio in termini economici, come è ormai verificato, ma è soprattutto una conquista culturale, una dimostrazione di intelligenza e buon senso da parte di una comunità che vuole costruire il suo futuro. Prevenire i disastri, mitigare i rischi, prepararsi in anticipo agli eventi impattanti cercando un adattamento alle mutate condizioni socio-ecologiche, rende la comunità più resiliente, aumenta la sua capacità di reagire o recuperare dopo un disastro. Questo obiettivo si raggiunge educando la società a una nuova cultura ecologica. Educare è la strada più efficace per avviare uno sviluppo umano responsabile, perché significa rendere ogni singolo individuo consapevole e dunque capace di assumersi la propria fetta di responsabilità, in modo che possa partecipare, nelle forme e nei tempi che gli sono possibili, al cambiamento culturale necessario ad assicurare un futuro più sostenibile. Educare significa rendere ognuno capace di riconoscersi nei valori comuni e di finalizzare le proprie azioni ad uno scopo comune.
Cittadini correttamente informati non potranno ignorare l’impatto dei propri stili di vita sull’ambiente e sulla propria salute. Anche in quanto semplici consumatori, una maggiore consapevolezza sociale delle implicazioni ambientali, sociali, economiche di ogni scelta di consumo, potrà influenzare e addirittura modificare obiettivi e offerte del mercato. E’ indispensabile sapere che gli allevamenti intensivi producono sovrasfruttamento delle falde acquifere e gas serra, o che cambiare continuamente lo smartphone significa favorire azioni molto impattanti sull’ambiente e soprattutto contribuire allo sfruttamento disumano di popolazioni di paesi poverissimi, dove si concentrano i minerali necessari alla costruzione di quello smartphone, e dove spesso l’attività mineraria assolda bambini anche piccolissimi.
È chiaro che non è pensabile regredire a stadi precedenti di sviluppo tecnologico, ma è necessario ribadire che i comportamenti e le scelte individuali possono fare la differenza, rappresentando la base di una catena di azioni da intraprendere per cambiare lo stato delle cose.
Probabilmente il cambiamento culturale della società potrà essere lento. Ma un effetto sul breve e medio periodo si potrebbe già ottenere se le classi dirigenti e industriali favoriranno questo cambiamento, chiarendo i problemi e le possibili soluzioni in una prospettiva temporale pluridecennale, tenendo conto delle indicazioni della scienza, valutando le priorità di azione, sostenendo con adeguati strumenti finanziari e legali modelli di produzione, trasporto e consumo che siano più sostenibili, e che siano tali lungo tutto il percorso della filiera industriale ed economica.
Anche se in alcuni casi si potranno rendere più green pezzi delle nostre società grazie alla tecnologia, se questo non sarà accompagnato da una decisa azione a più lungo termine sul piano culturale, non ci sarà un effettivo cambiamento. Forse si risolveranno alcuni problemi, ma potrebbero aprirsene altri ancora più grandi e difficili da gestire, che rischiano di avere effetti davvero imprevedibili e incontrollabili, come la geoingegneria, insieme di tecnologie proposto per contrastare su scala planetaria le cause o gli effetti dei cambiamenti climatici, o l’esplorazione mineraria di giacimenti sottomarini, che sempre più si sta affermando come soluzione al bisogno di minerali per batterie elettriche o per dispositivi che producono energie rinnovabili. Tali soluzioni non sono solo preoccupanti ma di fatto spostano semplicemente il problema senza risolverlo.
Le riflessioni e le considerazioni fin qui esposte sono oggetto di approfondimento e di discussione della geoetica, che partendo dalla considerazione che un mondo globalizzato ha bisogno anche di un’etica globalizzata, che definisca valori e responsabilità e orienti verso scelte ecocompatibili, nasce e si sviluppa come un’etica per la Terra. Affrontare le attuali sfide globali senza rigide posizioni ideologiche, attingendo alla migliore scienza a disposizione e stabilendo un continuo dialogo tra le parti interessate, cercando un ragionevole allineamento di valori e aspettative, sono i principali obiettivi della geoetica e l’oggetto delle sue proposte operative, come pure la definizione di un quadro di valori di riferimento su cui reimpostare la nostra relazione col pianeta che ci ospita, di cui siamo parte integrante e che dovremmo trasmettere il più possibile integro alle generazioni future, diventando più consapevoli delle nostre responsabilità e riconoscendoci nella nostra unitarietà di umani, pur nella diversità di culture che ci caratterizza.