“Io li odio i nazisti dell’Illinois” dice Jack a Elwood spazientito dalla lunga fila in macchina perché un gruppetto di idioti in divisa bruna stava improvvisando un comizio per la strada. Il sorpasso della fila di Elwood e il grottesco fuggi fuggi dei nazisti dell’Illinois con tanto di tuffi nel fiume giù dal ponte sono una delle scene più esilaranti e liberatorie di The Blues Brother, capolavoro assoluto di John Landis che ha ancora tanto da dire a più di quarant’anni dalla sua uscita nel 1980.

Sì, perché la questione dei nazisti, sia come realtà, sia come metafora dell’idiozia pericolosa e violenta presente nell’essere umano, non è cosa che si esprima solo con le ridicole divise brune, né si possa archiviare semplicemente con la storia, come in tantissimi abbiamo sperato.

Il secondo dopoguerra è stato un lungo cammino verso l’affermazione dei diritti della persona, sanciti nelle dichiarazioni adottate a livello internazionale come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e dalle carte nazionali come la nostra splendida Costituzione Italiana, ed è sembrato a lungo, con tutte le sue contraddizioni e lotte continue, un percorso in avanti verso un mondo più giusto, più libero, più capace di valorizzare le diversità come risorsa e soprattutto con anticorpi morali forti contro eventuali orribili rigurgiti dei vetero e dei nuovi fascismi.

E per uno della generazione X come me, cresciuto in un mondo dove si cantava tutti insieme Bella Ciao spontaneamente durante le gite scolastiche dalle elementari in su con un senso di comunità condiviso, la scoperta che invece non esistono eredità consolidate è un colpo duro da digerire, perché l’armamentario dialettico non parte più da una base condivisa radicata nell’etica della Costituzione, ma da ground zero.

Non avrebbe senso altrimenti il deplorevole affaire Vannacci di questi giorni, in cui le esternazioni fascistoidi dell’(ex?)generale sarebbero, in un mondo bello, respinte in coro come inaccettabili.

Sono di qualche giorno fa le bellissime parole del Presidente Mattarella, pronunciate in evidente risposta a queste esternazioni:

“Le identità plurali delle nostre comunità sono il frutto del convergere delle identità di ciascuno di coloro che le abitano, le rinnovano, le vivificano. Nel succedersi delle generazioni e delle svolte della storia. È la somma dei tanti “tu”, uniti a ciascun “io”, interpellati dal valore della fraternità, o, quanto meno, del rispetto e della reciproca considerazione. È il valore della nostra Patria, del nostro straordinario popolo – tanto apprezzato e amato nel mondo – frutto, nel succedersi della storia, dell’incontro di più etnie, consuetudini, esperienze, religioni; di apporto di diversi idiomi per la nostra splendida lingua; e nella direzione del bene comune. Amicizia, per definizione, è contrapposizione alla violenza. Parte dalla conoscenza e dal dialogo. Anche in questo, l’amicizia assume valore di indicazione politica. Non mancano, mai, i pretesti per alimentare i contrasti. Siano la invocazione di contrapposizioni ideologiche; la invocazione di caratteri etnici; di ingannevoli, lotte di classe; o la pretesa di resuscitare anacronistici nazionalismi”.

Eppure nemmeno queste parole sembrano reggere l’onda anomala dei sedicenti intellettuali e politici (di destra) che in talk show e sui giornali invocano addirittura la libertà di parola per giustificare e rendere finalmente e liberamente possibile l’offesa, l’incitamento all’odio e alla violenza, l’espressione di qualunque turpitudine messa allo stesso livello del pensiero umanistico.

La necessità delle parole
per ripartire da ground zero

La questione, dunque, è seria e quindi bisogna fare un sospiro e rendersi conto, come fa il Presidente Matterella, che la parola è necessaria e che, se questo è ciò che richiedono i tempi, bisogna attrezzarsi per combattere la battaglia culturale ri-iniziando da ground zero.

E ciò vale per tutto, anche per le questioni scientifiche, dove il vento che tira sta dando fiato, per esempio, ai negazionisti climatici molto corteggiati e sponsorizzati dalle lobby di vari settori economici e politici, che, come scopo principale, sembrano avere il gettare discredito sulla comunità scientifica per poter anche qui giustificare e rendere finalmente e liberamente possibile la falsificazione, la manipolazione faziosa, l’espressione di qualunque ingannevole idea priva di sostanza messa allo stesso livello del pensiero scientifico.

Esemplare a questo proposito è il sedicente global network of 500 scientists and professionals che ha reso pubblico un manifesto (European Climate Declaration del 26 settembre 2019) rilanciato anche di recente da molti giornali soprattutto di destra, dal titolo piuttosto esplicativo There is no climate emergency.

Il network di cui sopra è stato fondato da quattordici uomini (nel senso di maschi) tra cui accademici in pensione e personaggi vari, di cui nessuno climatologo (ci sono anche un wine industry leader, un sociologo, il visconte Monckton of Brenchley…sic!!!), alcuni invece ben legati alle industrie dei combustibili fossili.

L’Italia si distingue per dare, oltre a uno dei fondatori – il professore in pensione di geologia applicata Alberto Prestininzi –  un quinto dei firmatari al manifesto (113!) tra cui accademici di discipline varie, ma nessuno esperto di clima, e, guarda caso, ahimè molti miei colleghi geologi soprattutto de La Sapienza da cui proviene Prestininzi (..e complimenti agli studenti di geologia de La Sapienza che lo scorso giugno hanno occupato per questo motivo il pratino davanti al dipartimento lanciando il movimento End Fossil-Occupy).

Ora, se la questione fosse davvero sul piano scientifico ci si aspetterebbe da questi “scientists and professionals” l’uso del metodo scientifico, ossia l’acquisizione e la verifica di dati con metodi riproducibili e poi la loro interpretazione alla luce delle leggi della fisica e della chimica.

Il clima è un sistema complesso e la scienza certamente ha ancora molto da fare per comprendere a fondo i suoi meccanismi regolatori, ma i dati sono dati, al di là del fatto che ormai ognuna e ognuno di noi percepisce con chiarezza che non stiamo vivendo delle stranezze del tempo meteorologico ma un vero proprio cambiamento climatico (lo sa bene chi ama i ghiacciai come me e li ha visti sparire a vista d’occhio nel corso di qualche decennio, così come lo sanno benissimo gli abitanti della Romagna alluvionata ancora in attesa di fondi per la ricostruzione, o le assicurazioni che adesso fanno pagare molto salate le polizze contro la grandine).

I dati della Nasa e i non-dati dei negazionisti

Basta visitare il sito della NASA (non proprio una pericolosa fonte anarchica di controinformazione…) per leggere con i propri occhi i grafici sull’andamento nel tempo della concentrazione della CO2 (l’ultima misurazione del luglio 2023 è 422 ppm, con un aumento del 50% in meno di 200 anni), della temperatura (0.89°C di aumento medio globale dal 1960) e poi anche del metano, della temperatura media e del livello degli oceani, dell’estensione dei ghiacci polari.

Se fosse una discussione scientifica questi dati dovrebbero essere spiegati con modelli alternativi, che dimostrino quali processi, che non siano l’immissione antropica di CO2 e di metano, possano spiegare non solo i valori assoluti ben superiori a quelli mai registrati in ogni epoca storica e nel Quaternario, ma soprattutto l’improvvisa impennata del tasso di variazione di questi parametri a partire circa dal 1960.

Io sarei ben felice di scoprire che non è colpa nostra. O forse no, visto che, se non fosse così, non sapremmo nemmeno cosa fare per tentare di provi rimedio.

Invece, per gli estensori e i firmatari di questo manifesto l’aumento della CO2 in atmosfera è addirittura una benedizione (avete letto bene! Traduco letteralmente dal manifesto: “Più CO2 è un beneficio per la natura rendendo più verde la Terra… è buona per l’agricoltura perché aumenta i raccolti”) e le misure di mitigazione sono invece da condannare perché gli impianti eolici uccidono uccelli e insetti (si si avete letto benissimo! Traduco di nuovo letteralmente: “Le misure di mitigazione della CO2 sono tanto dannose quanto costose. Per esempio, le pale eoliche uccidono uccelli e insetti”).

Non un dato, non un modello alternativo, non una pubblicazione scientifica da questi 500 firmatari, solo generiche e apodittiche dichiarazioni che tentano di gettare discredito sul lavoro della comunità scientifica con l’uso sistematico della menzogna (traduco ancora letteralmente dal manifesto: “solo pochissimi lavori peer-reviewed [ossia pubblicati su riviste scientifiche internazionali e soggetti a revisione tra pari] si sono spinti a dire che il recente global warming è principalmente di origine antropogenica”. Nota Bene: a parte i risultati dell’IPCC, se digitate su Google Scholar – il principale motore di ricerca per pubblicazioni scientifiche – le parole “evidence for anthropogenic climate change” escono 887.000 pubblicazioni…che dite, sono pochissime?).

Ora è chiaro che questo tipo di argomentazioni fa ridere la comunità scientifica, che evidentemente però non è la destinataria del messaggio.

I destinatari fanno invece parte di quello che una volta era solo un sottobosco pericoloso che ama il negazionismo o per interesse o per stupidità ignorante, ma che ora si sta facendo foresta e che si estende dai siti web e dai social che producono fake news fino alle testate dei giornali più retrivi e urlatori, che oggi si trovano ad essere espressione della maggioranza degli elettori votanti e dello stesso governo.

E’ chiaro dunque che non basta ridere di questi fenomeni, così come, ahinoi, non bastano le parole del nostro Presidente della Repubblica per risospingere nel dimenticatoio le deprecabili esternazioni del generale Vannacci.

Spiegare i valori fondativi ai negazionisti

Bisogna pazientemente recuperare terreno, spiegare dialetticamente alla luce di quali valori non tutte le idee sono uguali né hanno lo stesso diritto di cittadinanza.

Perché se il valore fondativo della comunità in cui viviamo è quello della pari dignità di ogni essere umano e del suo ambiente, come espresso nelle Dichiarazioni universali sui diritti umani e nella nostra Costituzione, allora è chiaro che qualunque discorso, qualunque dialettica potrà esprimere idee sì diverse, ma comunque orientate nelle intenzioni, nel linguaggio e nelle azioni alla ricerca di come meglio rendere possibile – come ci ricorda il Presidente Mattarella – “l’incontro di più etnie, consuetudini, esperienze, religioni nella direzione del bene comune”. E così alla luce di questa cartina di tornasole, qualunque idea che invece soffi sul fuoco dello scontro tra etnie, consuetudini, esperienze, religioni risulta evidentemente fuori dal consesso sociale e quindi da respingere al mittente.

Analogamente, se il valore fondativo della comunità scientifica è quello dell’adozione del metodo scientifico per contribuire al progresso della conoscenza dei fenomeni, allora qualunque dialettica è possibile laddove sia supportata da dati e dalle leggi conosciute della fisica e della chimica.

Al contrario qualunque idea che invece utilizzi la mistificazione e si sottragga dall’uso di quel metodo condiviso risulta evidentemente fuori dal consesso scientifico e quindi da respingere al mittente.

Il buddismo per salvare i fondamentali

Mi piacerebbe tanto vivere in un mondo dove i fondamentali (i diritti umani e dell’ambiente e il metodo scientifico) non siano in discussione e si dibatta solo di quali possibili soluzioni siano le più efficaci per meglio realizzare gli scopi di un mondo migliore per tutte e per tutti.

Ma così non è. I fondamentali sono e forse sempre saranno l’oggetto di una lotta continua tra spinte contrastanti compresenti nell’essere umano (nessuno escluso). Il buddismo le chiama oscurità fondamentale e illuminazione, come ci ricorda il maestro Daisaku Ikeda nel suo dialogo con il biologo Monkombu S. Swaminathan Rivoluzioni – avere cura dell’ambiente e del cuore umano.

Mi conforta il fatto che la spinta all’illuminazione viene percepita dai maestri buddisti come più profonda e più forte dell’oscurità fondamentale, per cui destinata sempre a vincere. Sarà il caso di crederci e rimboccarsi le maniche! C’è tanto da fare!!!

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