(English translation below)
Pronunciamo la parola “Cà-rà-cas”, e ci pare di assaporare un croccantino.
“Tim-bu-ctù” evoca un piccolo strumento a percussione.
“Kat-man-dù”: e siamo tra le formule magiche. 
“San-Pie-tro-burg-go”: una dizione che è un viaggio in un’altra epoca. 
“Ro-ma”: e si rovescia nel noto “Amor”. 
“Ca-sa-blan-ca”: film, candore, orientalismo.
“U-ru-gu-a-y” e “Pa-ra-gu-a-y”: due fratellini che ci si sciolgono in bocca. 
“Ma-da-ga-scàr”: una composizione musicale istantanea. 
“Con-go”: e in queste cinque lettere pare sentire tutta l’Africa. 
“Ki-ri-ba-ti”: sì, proprio un’isola esotica. 
“IUESSEÉ”, “USA”: quasi lo slogan pubblicitario di un’intera epopea. 
“Ulaàn-Ba-tòr”: ma che posto potrà mai essere?
“Zàn-zi-bàr”: ahhh…

È un modo di viaggiare, un gioco per piccoli e grandi. Proviamo a impastare nella nostra bocca questi e altri nomi – e cosa si prova? Ma-ni-to-ba, Sa-ska-tche-wàn, A-la-ska, O-kla-o-ma: basta dirli e già immaginiamo chissà quali avventure. Ar-kan-sas: c’imbattiamo  in un serpente tra le rocce. Queste e altre pronunce costituiscono una parte singolare della grande avventura del viaggiare, un ingrediente tipico di certe pubblicità turistiche vintage. Un nomadismo per suggestioni, un’altra forma di riscrittura, tutta ferma e tutta mentale, ma dalle implicazioni sterminate. Perché una delle prime realtà con le quali ci si confronta a giro per il mondo sono nomi poco familiari, luoghi reali ma in buona parte sconosciuti, immaginari e illuminati dalla spesso fuorviante luce del loro nome, che ce li lascia intravedere per quello che suggeriscono, non per quello che sono. 

In alcuni casi, affrontare un termine geografico è il primo passo per perdersi in un labirinto. Bang-kok è un caso limite: sette lettere tutte tonde, uno schioccare la lingua. Significa più o meno villaggio in riva all’acqua. Ma in thai si usa “Krung Thep Maha Nakhon”, abbreviazione del nome ufficiale (il più lungo al mondo), che è un poema, tanto che anziché leggerlo si fa prima ad ascoltarne il suono.

Proviamoci, sempre per gioco: «Krung-dēvamahānagara amararatanakosindra mahindrayudhyā mahātilakabhava navaratanarājadhānī purīramya utamarājanivēsana mahāsthāna amaravimāna avatārasthitya shakrasdattiya vishnukarmaprasiddhi». Il significato è questo: “Città degli angeli, la grande città, la città della gioia eterna, la città impenetrabile del dio Indra, la magnifica capitale del mondo dotata di gemme preziose, la città felice, che abbonda nel colossale Palazzo Reale, il quale è simile alla casa divina dove regnano gli dei reincarnati, una città benedetta da Indra e costruita per Vishnukam. Chi non vorrebbe visitare un posto così? Chi, già prima di averci messo piede, non prova a immaginarselo? Potremmo fermarci all’ascolto del suono, alla lettura del significato, al confronto col talmente diverso e stringato e pure a suo modo suggestivo nome occidentale, e il viaggio è fatto. 

Sarebbe un esercizio mentale, e una riscrittura, troppo facile per non proseguire. Andando oltre, Maria Teresa Sartori ha inventato una nuova forma di ricerca artistica, che è un’ennesima declinazione del viaggio. Il suo Suono della lingua è un progetto per ascoltare i nomi del mondo. Ha cominciato con il “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” di Leopardi,  mantenendone ritmo, melodia, metro e rima, ma spostando le consonanti o all’interno della singola parola o tra parole vicine.Il risultato – avverte – è qualcosa di assolutamente incomprensibile, ma assurdamente familiare“. Il gioco è stato replicato per altri dieci idiomi, con un percorso sonoro presentato a Venezia e ora disponibile in rete

La magia che ne risulta è quella del “bambino che gioca sul tappeto sente le conversazioni degli adulti e non ne capisce il significato. Percepisce però le modalità del flusso di quella lingua che gli è già enormemente familiare e ne assimila ritmo e intonazione. Questo aspetto della conoscenza mi pare pieno di una sua intrinseca bellezza”

Non saremo più bambini, ma grazie al viaggiare attraverso parole lontane e incomprensibili ma ricche di fascinazione, riscopriamo questa arcana conoscenza. 

ENGLISH VERSION

“Sound of the language” is a project to listen to the names of the world. Because you can also play travelling in this way

Rewriting languages ​​through pronunciations that are mysteries and invented idioms that give the flavour of real ones. Journey through the sound of places

We pronounce the word “Cà-rà-cas”, and we seem to savor a crunchy.
“Tim-bu-ctù” evokes a small percussion instrument.
“Kat-man-dù”: and we are among the magic formulas.
“San-Pe-ters-bourg”: a diction that is a journey to another era.
“Ro-ma”: and it overturns in the well-known “Amor”.
“Ca-sa-blan-ca”: a mvie, white buildings, orientalism.
“U-ru-gu-a-y” and “Pa-ra-gu-a-y”: two little brothers who melt in your mouth.
“Ma-da-ga-scàr”: an instant musical composition.
“Con-go”: and in these five letters it seems to hear all of Africa.
“Ki-ri-ba-ti”: yes, really an exotic island.
“U-S-A”: almost the advertising slogan of an entire epic.
“Ulaàn-Ba-tòr”: but what place could it ever be?
 “Zàn-zi-bar”: ahhh …

It is a way of traveling, a game for young and old. Let’s try to knead these and other names in our mouth – and what does it feel like? “Ma-ni-to-ba”, “Sa-ska-tche-wàn”, “A-la-ska”, “O-kla-o-ma”: just say them and we already imagine amazing adventures. “Ar-kan-sas”: and we come across a snake among the rocks. 

These and other pronunciations constitute a singular part of the great adventure of traveling. A form of nomadism, through suggestions, a form of rewriting, with mental and boundless implications. When we travel, we are confronted with unfamiliar names, names of real places but largely unknown, fit in our imaginations and illuminated by the often misleading light of their names. They allow us to glimpse them for what they suggest, not for what they are.

In some cases, tackling a geographic term is the first step in getting lost in a maze. “Bang-kok” is an extreme case: seven letters all round, one click of the tongue. It more or less means “village by the water”. But in Thai we use “Krung Thep Maha Nakhon”, short way for the official name (the longest in the world), which is a poem, so much so that instead of reading it, you listen to it first: 

Let’s try, for fun: «Krung-dēvamahānagara amararatanakosindra mahindrayudhyā mahātilakabhava navaratanarājadhānī purīramya utamarājanivēsana mahāsthāna amaravimāna avatārasthitya shaishhikrasdattiya viddattiya vodasdattiya». The meaning is this: “City of angels, the great city, the city of eternal joy, the impenetrable city of the god Indra, the magnificent capital of the world endowed with precious gems, the happy city, which abounds in the colossal Royal Palace, which it is similar to the divine house where the reincarnated gods reign, a city blessed by Indra and built for Vishnukam ”. 

Who wouldn’t like to visit such a place? Who, even before setting foot there, does not try to imagine it? Let’s just listen to the sound, read the meaning, compare it with the so different and concise (and yet in its own way suggestive) Western name, and the journey is done.

It would be a mental exercise, and a rewriting exercise, too easy not to be continued. Going further, Maria Teresa Sartori has invented a new form of artistic research, which is yet another declination of travelling. Her “Sound of the tongue” is a project to hear the names of the world. She began with Leopardi’s “Nocturnal Song of a Wandering Shepherd of Asia”, maintaining its rhythm, melody, meter and rhyme, but moving the consonants either within the single word or between words. “The result – she warns – is something absolutely incomprehensible, but absurdly familiar”. This sort of game has been replicated for ten other languages, with a sound path presented in Venice and available online.

The resulting magic is that of the “child playing on the carpet hears the conversation of adults without understanding its meaning. He does, however, perceive the melody behind the flow of this so-familiar language and assimilates its rhythm and intonation. This aspect of knowledge seems to me to be full of intrinsic beauty.”

We will no longer be children, but thanks to traveling through distant and incomprehensible but fascinating words, we rediscover this arcane knowledge.

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