A volte la vita sa sorprendere, oggi per esempio la mia direttrice ha presentato nella chat interna al giornale il mio pezzo precedente come esempio di teatro interattivo, e pensare che io avevo in mente di parlarne oggi, riferendomi a prodotti altri, ma ben venga ogni anticipazione dunque!

Every brilliant thing, con regia di Fabrizio Arcuri, interpretato da un divertito ed empatico Filippo Nigro -visto al Teatro India e prossimamente al Teatro Camploy di Verona con la data unica di mercoledì 26 aprile, è il primo spettacolo che cito: un bambino costretto a interpretare i ripetuti tentativi di suicidio della mamma, stila una lista, progressivamente interminabile, su tutto ciò che rende la vita degna di essere tale.

Il canovaccio elaborato dal drammaturgo Duncan Macmillan prevede la costante interazione del pubblico, chiamato a leggere, come a tombola, i bigliettini che contengono i suggerimenti appositi, dall’amore a una tazza di tè, con quel minimalismo tipicamente anglosassone, stile Hornby, ostile a molti, che a me invece tocca quasi sempre il cuore.

E quando lo spettatore viene convocato a interpretare il padre addolorato, la spettatrice ad essere la maestra saggia o la fidanzatina, ci si diverte e a tratti ci si commuove, alla faccia del cinismo e della solennità d’obbligo.

Tornerò a parlare prossimamente di Hotel Dante ideato da Roberto D’Alessandro e rappresentato recentemente al Teatro di Documenti di Roma, dove lo spettatore riceve una chiave che lo porta ad incontrare un personaggio della Divina Commedia, che gli narrerà direttamente la sua storia, come fecero i protagonisti dello storico Dignità autonome di prostituzione di Luciano Melchionna.

Per la regia di Alessandro Carvaruso, Matteo Fasanella, Paolo Orlandelli e lo stesso Roberto D’Alessandro, decine di attori incarnano le anime ideate dal genio dantesco coinvolgendo l’interlocutore nella propria vicenda di vita, previo indovinarne i connotati, ove si sia frequentato un buon liceo.

Last but not least la mia esperienza personale con il teatro interattivo de Il buco, monologo tragicomico sulle carenze affettive che la regia di Laura De Marchi ha reso poetico e coinvolgente e Nadia Perciabosco porta in scena da dieci anni ininterrotti, in tutta Italia, trascinando i coraggiosi del pubblico in una stand up terapy di gruppo che li obbliga a vomitare sul vicino inconfessabili segreti di dipendenze e ossessioni compulsive.

Stessa potenza mi ritorna quando all’ingresso de L’imperatrice storia di Niki de Saint Phalle, interpretata da una straordinaria Caterina Gramaglia e diretta da Mariano Lamberti in un abbozzato atto psicomagico, consegno un arcano maggiore dei tarocchi in cambio di una banconota e osservo il trepidare della persona al piccolo svelamento di destino.

Il teatro è stato da sempre la forma d’arte catartica per eccellenza, ma la mia sensazione personalissima è che in questa lacerata contemporaneità post covid, lockdown, in media guerra, abbacchiata da crisi economiche e finanziarie, rattrappita da rapporti induriti e graniti comunicazionali, la restituzione di una partecipazione alla polis artistica, in vista di un pezzettino d’anima riconquistata, che la si chiami o meno ancora arte, diverte, riscalda e forse perfino un briciolo rassicura, più che in altri tempi.

E dunque benvenuta sia, sempre, anche nella forma del teatro interattivo. Niente di nuovo ma felicemente rinnovato dall’urgenza del tempo e del costume.

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