Distribuzione teatrale, la grande assente. Video intervista con Roberta Calandra
Roberta Calandra torna a raccontarci del teatro e, in particolare, di un aspetto cruciale ma poco considerato: la distribuzione teatrale.
Roberta Calandra torna a raccontarci del teatro e, in particolare, di un aspetto cruciale ma poco considerato: la distribuzione teatrale.
La nostra esperta di teatro Roberta Calandra torna a raccontarci del mondo del teatro e, in particolare, di un aspetto tanto cruciale quanto poco considerato dai non addetti ai lavori: la distribuzione teatrale.
Quando scrivevo recensioni per Repubblica, racconta, esisteva la tournée, una sorta di mito entrato nell’immaginario collettivo della nostra generazione, la compagnia che veniva pagata per mangiare dormire e recitare in giro per i teatri di tutta Italia.
E adesso? Quante volte, confessa la nostra blogger, mi è capitato di sentire di spettacoli che avevano richiesto un anno di lavoro ma vivevano solo il tempo di una prima o poco più. Perché tramontata la figura leggendaria dell’impresario manca la capacità e forse la volontà di creare circuiti alternativi per le realtà piccole e medio-piccole; perché non si creano partnership innovative con il mondo dei servizi; perché scatta la sindrome della riserva indiana, l’idea che isolarsi sia l’unico modo per preservare originalità e indipendenza; e non da ultimo perché le risorse economiche sono scarse, e non permettono alle piccole compagnie emergenti di consolidare il proprio posto nel panorama culturale.
Il sistema dei contributi pubblici, così come è strutturato nel nostro paese, non riesce a riequilibrare la situazione perché a sua volta si concentra sui soggetti grandi e già affermati, lasciando al palo piccole compagnie con proposte magari molto coraggiose e creative.
Guardando fuori dai nostri confini si trovano approcci più efficaci anche da parte dei soggetti pubblici, scene come quella berlinese possono fiorire e rinnovarsi anche perché esiste il sussidio di disoccupazione per i lavoratori dello spettacolo. Esiste cioè una consapevolezza che in Italia ancora manca, che il teatro – come tutte le arti – non vive nell’etere ma è una filiera che produce valore immateriale, è lavoro che non può essere abbandonato alla precarietà senza tutele.