In questi giorni mi è capitato di leggere una nuovissima uscita di cui stanno parlando un po’ tutti su Instagram (soprattutto per gli appassionati del genere horror-thriller). Teddy di Jason Rekulak edito da Giunti nella collana M, illustrato da Will Staehle e Doogie Horner, tradotto in italiano da Roberto Serrai.

In realtà questo non è il mio genere preferito, anzi, non leggo mai libri di questo tipo, diciamo alla Stephen King. A proposito, questo romanzo, Teddy, ha ricevuto il benestare di King, che ha dichiarato “I love it”, e diventerà presto una serie tv prodotta da Netflix.

Teddy di Jason Rekulak: perché ho deciso di leggerlo
pur non essendo il mio genere

Come dicevo, non è il mio genere. Di solito ho la fissa per i romanzi di formazione. Questo invece è un horror-thriller, come accennato. Anche la mia esperienza con Stephen King è scarsa, ho letto solo due libri (due raccolte di racconti, Quattro dopo mezzanotte e Stagioni diverse). Teddy di Jason Rekulak mi è apparso come suggerimento di lettura su Instagram, era una cosa tipo “ecco i libri che vi faranno ribaltare dalla sedia”. In effetti avevo intenzione di ribaltarmi dalla sedia per il mio stato emotivo, ma di questo parlerò più avanti.

Quindi, detto… fatto. Ero in casa già da un giorno a causa di un brutto raffreddore (che continua ancora oggi mentre sto scrivendo, infatti sono costretta a fermarmi spesso per soffiarmi il naso).

A quanto pare sto spesso male come se fossimo ancora nel ’700, non so. Costretta in casa, con una pila di libri fisici al mio fianco che mi guardano, ho comunque deciso di cominciare subito la lettura di un romanzo nuovo: dunque l’ho acquistato versione e-book e l’ho letto dal cellulare perché non possiedo ancora un e-Reader.

Penso sia una cosa comune voler passare il tempo in modo leggero quando si sta male con stati influenzali o simili. Avevo voglia, dunque, di immergermi in una storia che mi coinvolgesse, ma che non mi stancasse, che non andasse a stimolare chissà che nervo letterario. Una storia semplice,  come una messaggio che potrei leggere su Whats’App, come una storia che potrei sentire dai miei amici.

Cosa racconta il romanzo: no spoiler

Dato che in romanzi di questo tipo il colpo di scena è tutto, non dirò nulla al riguardo, mi fermerò a descrivere le premesse.

Il libro (416 pagine leggerissime, lette al cellulare così come si scorrono i reel su Ig, velocissime) è scritto in prima persona dal punto di vista di Mallory, una 21enne ex tossicodipendente, pulita da 18 mesi e in cerca di lavoro dopo la clinica di recupero.

Il suo sponsor, Russell, le trova un lavoro da babysitter presso una famiglia benestante con un solo figlio, Teddy. Il bambino di 5 anni ha bisogno di una babysitter durante l’estate, poi a settembre comincerà la scuola.

Si tratta di un bambino dolcissimo, vivace, curioso, intelligente con una fervida immaginazione, tant’è che dichiara di avere una amica immaginaria di nome Anya.

Teddy ama disegnare quello che vede, e così disegna spesso anche Anya, che appare subito come una figura abbastanza inquietante. I suoi genitori sperano che con la compagnia della babysitter, Teddy finalmente possa dimenticarsi di Anya e farsi degli amici reali.

Le storie che funzionano, alla fine,
hanno sempre gli stessi elementi…

Onestamente mi aspettavo un po’ di più a livello di trama. Insomma, la situazione (e come si risolve) appare un po’ trita (nonostante alcuni elementi del colpo di scena mi siano piaciuti). C’è il solito bambino felice, allegro, ma che in realtà disegna cose stra inquietanti. C’è l’amica immaginaria, che dai disegni appare come un mostro. E ci sono tanti segreti da svelare. Anya esiste davvero? Chi è? E perché Mallroy era tossicodipendente? E i genitori di Teddy cosa nascondono sotto quell’aria borghese patinata?

Teddy di Jason Rekulak alla fine, racconta sempre la stessa storia, tant’è che anche se non scrivessi nulla, potreste arrivare al colpo di scena da soli. Tuttavia, la cosa sorprendente è che nonostante tutto non ho smesso di leggerlo, 416 pagine in un giorno, dall’inizio alla fine. Mi ha appassionato, mi ha tenuto compagnia.

Se riflettete un attimo sui romanzi o film più famosi, vi renderete conto che alla fine gli elementi sono sempre gli stessi, e funzionano sempre. Come mai? Qua si aprirebbe una discussione sulla narratologia e sulla sociologia del romanzo che è meglio non aprire (adesso).

Stile semplice e illustrazioni d’impatto

Ho già detto che Teddy è un romanzo illustrato? Ma non illustrato tipo graphic novel. No. È un vero e proprio romanzo classico, solo che alla luce dei tanti disegni di Teddy (che avranno un peso non indifferente nella storia), l’autore ha deciso di inserire anche delle illustrazioni che li riproducessero. Probabilmente è questa la parte più inquietante del romanzo.

Non so se senza illustrazioni mi avrebbe fatto lo stesso effetto perché lo stile è davvero molto semplice (mi verrebbe da dire sciatto ma non sarebbe manco corretto). Infatti, l’autore giustifica questa presunta sciatteria alla fine del romanzo, nell’ultimo capitolo:

“L’idea di scrivere un libro, un libro vero, come quelli di Harry Potter, mi sembrava un’impresa epica. Ma ne ho parlato con la madre di Adrian, che mi ha dato qualche buon consiglio. Mi ha detto che non dovevo provare a scrivere un libro, ma semplicemente sedermi davanti al computer e raccontare, una frase per volta, così come l’avrei raccontata a un’amica davanti a un caffè. Non dovevo sembrare J.K Rowling. Dovevo sembrare Mallory Quinn di Philadelphia”.

Quindi l’autore, Jason Rekulak, è riuscito a costruire, in realtà, una voce in prima persona credibilissima, quella di una ragazza di 21 anni che non ha mai scritto in vita sua ma che adesso vuole scrivere la sua incredibile storia senza sembrare J.K Rowling, e infatti non lo sembra (ma non sembra manco Stephen King).

Paura del corridoio per una persona facilmente impressionabile

Ho cominciato a leggere Teddy e sono andata avanti anche di notte perché volevo sapere come andasse a finire. Come dicevo, reduce (o meglio: ancora a far i conti…) con scossoni emotivi e rielaborazioni affettive, che mi hanno davvero provata negli ultimissimi due mesi, avevo bisogno di una storia forte, che mi sconvolgesse, mi mettesse paura.

Un romanzo in grado di annullare tutto il resto. Un po’ come quando con il mio amico andiamo a buttarci in mezzo alla mischia dei locali affollati con la musica altissima perché vogliamo coprire tutti i pensieri, tutti i desideri. Abbiamo bisogno di stimoli esterni forti, e la me stessa raffreddata ha scelto Teddy.

Insomma, ero ai primi capitoli, quando il bambino man mano svela con innocenza i suoi inquietanti disegni. Alle 3:30 di notte, guardo un disegno che mi impaurisce così tanto che dico: “No, basta”.

Allora smetto di leggere. Però ormai ho così paura che devo prendere tutto il coraggio del mondo per il tragitto dal mio letto al bagno e ritorno (accendo pure tutte le luci del corridoio, che è lunghissimo e spaventosissimo già di suo. I miei amici dicono che vivo in un labirinto).

Al ritorno, manco in camera mi sento tranquilla, perché è sempre la camera dove è morta mia nonna, quindi chissà. Ho nella testa quella cavolo di illustrazione inquietante con Anya (l’amica immaginaria di Teddy) sotto il tavolo, con quella faccia terribile tipo l’Urlo di Munch fatto a carboncino.

Dunque sarò io facilmente impressionabile oppure Teddy è veramente un romanzo ben scritto e illustrato.

Per addormentarmi i pensieri sono due:

  1. In effetti pure io, ormai, posso dire di avere un’amica immaginaria, sì, proprio a forma di mostro come Anya, che vive sotto i letti e sotto i tavoli (o in tutti i locali che frequento). Spero sempre che riprenda la sua forma reale perché mi manca ancora, e sono così stanca di parlarle nella mia testa aspettando una risposta.
  2. Guardo un video lunghissimo su YouTube per calmarmi e riuscire a prendere sonno. È un video coreano sulla preparazione del Kimchi, verdure frammentate con spezie. I coreani lo mangiano tutti i giorni perché credono che abbia il potere di allungare la vita.
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