A dieci anni dalla Rivoluzione dei gelsominila Tunisia vive nuovamente un periodo di forte crisi a causa soprattutto della cattiva gestione politica ed è sostanzialmente alle prese con gli stessi problemi che portarono agli scontri nelle piazze nel 2011: le disuguaglianze sociali, la disoccupazione giovanile, la corruzione e la crisi economica, aggravati ulteriormente dalla pandemia da Covid-19. 

Era il 17 dicembre del 2010, quando l’ambulante Mohamed Bouazizi si diede fuoco davanti alla sede del governatorato in segno di protesta contro le condizioni economiche e sociali del paese, esasperato per la mancanza di lavoro e per numerosi  sequestri della merce che provava a vendere per sopravvivere.

Il governo del presidente Zine El-Abidine Ben Ali, anche se era uno dei più moderati del mondo arabo, non agiva in realtà secondo le regole e i principi delle democrazie occidentali e governava il paese senza una vera e propria opposizione.

La primavera araba e la crisi di oggi

Le rivolte avviate in Tunisia si propagarono in breve tempo ed ebbero, grazie anche ai social media, un ampia diffusione in tutto il Medio Oriente, segnando la nascita di quella che la stampa internazionale, usando un termine giornalistico molto efficace per indicare una serie di proteste ed agitazioni cominciate tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, denominò la primavera araba: uno dei dei momenti più importanti della storia di questo inizio secolo. Fu così che la Tunisia vide la fine del governo di Ben Ali, l’Egitto quello di Mubarak, la Libia la fine del governo di Gheddafi.

All’approvazione della nuova Costituzione, adottata nel gennaio del 2014 dall‘Assemblea Costituente eletta il 23 ottobre del 2011, e in ordine temporale la terza carta fondamentale dopo quella del 1861 e quella del 1959, il modello di Repubblica semipresidenziale dalla Tunisia divenne un esempio di rivoluzione democratica inclusiva tra i paesi del Medio Oriente. 

La popolazione a gennaio di quest’anno, cogliendo anche a pretesto le misure restrittive introdotte a causa del coronavirus, è nuovamente scesa in piazza per manifestare il malcontento molto diffuso contro il governo, al grido dello slogan “lavoro, dignità, libertà” reclamando le soluzioni attese da ormai 10 anni. Il governo per arginare i disordini e le proteste, che hanno causato diversi morti e feriti, ha persino deciso di cancellare i festeggiamenti per alcune importanti ricorrenze di carattere nazionale, adducendo come motivo ufficiale l’emergenza sanitaria da coronavirus.

Lo stato di crisi economica e sociale in cui si trova attualmente la Tunisia è testimoniato dalla forte disoccupazione giovanile, giunta al 35%, dal peggioramento delle condizioni di vita della popolazione (un tunisino su cinque vive sotto la soglia di povertà), dalla preoccupante diminuzione delle esportazioni e degli investimenti da parte dei paesi esteri, dal crollo del settore del turismo, senza dimenticare i dati dei migranti verso l’Italia che sono passati da circa 2.654 nel 2019 a più di 13 mila nel 2020.

Per arginare gli effetti di questa grave crisi, il governo deve necessariamente mettere in atto politiche ed azioni che portino a significativi cambiamenti soprattutto in campo economico, avviando un cammino verso la ripresa che possa far ripartire l’economia in genere e, soprattutto, i principali settori produttivi del paese.

Il progetto Prodefil:
un possibile aiuto per la Tunisia

Un’importante contributo ad un efficace rilancio della economia può essere dato dal progetto PRODEFIL realizzato dall’IFAD, il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo, d’intesa con il governo della Tunisia e con ICARDA (Centro Internazionale per la Ricerca Agricola nelle Aree Secche), che si propone di sostenere i pastori locali nella realizzazione di un programma di miglioramento della produzione di bestiame e di ripristino dei terreni dedicati al pascolo.

L’importanza economica del progetto deriva dal fatto che in Tunisia gran parte della popolazione svolge un’attività legata alla pastorizia, che rappresenta il più grande settore produttivo, costituendo il 50% circa del fabbisogno alimentare familiare e contribuendo alla formazione del reddito per il 50% circa

Di recente ho avuto la possibilità di verificare direttamente, durante un mio viaggio in Tunisia per il WWF, come coordinatore della comunicazione per l’Atlante della Biodiversità, l’efficacia del progetto, la cui strategia di fondo consiste nel cercare di realizzare un giusto equilibrio fra l’esigenza di migliorare, rendendola più efficiente, la gestione del pascolo con quella di una concreta e duratura crescita della produttività e della commercializzazione del bestiame. Ad oggi, gli interventi di recupero e salvaguardia dei pascoli riguardano circa 19.000 ettari di pascoli (di cui 7.000 ettari in terreni privati), ossia quasi il 65 % dei 29.000 ettari oggetto dell’obiettivo: le azioni intraprese hanno portato alla ricomparsa di tartufi e del Lazoul (aglio rosa) che vengono raccolti e venduti, nonché un miglioramento della copertura vegetale del 35-85%.

Un forte sviluppo ha interessato anche il settore delle carni rosse (ovini, caprini e camelidi), dei loro sottoprodotti (lana e cuoio), nonché gli incentivi per l’avvio della produzione del latte di cammello e la creazione di un vivaio per la produzione di piante da frutto. Nel corso del progetto è stato osservato un miglioramento del 52% della salute e del peso degli animali. In termini di piantagioni (olivi e fichi), si è verificato un aumento medio del 89% del numero di alberi per azienda.

La specie più allevata è quella delle pecore con circa 6,5 milioni di esemplari, seguita da 1,2 milioni di capre, 401 mila bovini da latte e 234 mila altri bovini. I camelidi e gli equini (cavalli, asini e muli) sono stimati in 214 mila. È inoltre importante ricordare che, tra le specie bovine, sono prevalenti i bovini da latte e rappresentano il 65%.

Il progetto PRODEFIL si pone anche l’obiettivo di contribuire alla risoluzione dei difficili problemi di alcune aree del paese, dove l’avvio delle attività legate all’agricoltura ha generato una frammentazione dei territori dedicati alla pastorizia, rendendo così più difficile la mobilità degli animali e, nello specifico, gli spostamenti del bestiame e delle persone alla ricerca di risorse preziose come l’acqua e i pascoli.

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