Tutti giù per terra è un film del 1997 diretto da Davide Ferrario, tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Culicchia. L’opera è ambientata nella Torino di metà anni ’90, post boom economico, e vede come protagonista Walter (interpretato da Valerio Mastandrea) un giovane di 22 anni che torna a Torino dopo 15 anni vissuti a Roma.

Walter è in piena crisi esistenziale, alterna le sue giornate tra l’università che non riesce a completare, lavori che non riesce a trovare e pensieri introspettivi che portano il giovane a chiedersi cosa sarà del suo futuro.

Il film metta in scena il disagio giovanile che da metà anni ’90 non trova fine e dunque si presta benissimo ad una analisi psico-sociale delle generazioni contemporanee. Passano decenni, la tecnologia evolve, la ricchezza è sempre meno distribuita e seppur il presenta sembra colmo di possibilità, sono i desideri dei ragazzi che non trovano la propria strada.

Un ritratto generazionale nell’Italia
post-boom

Con Tutti giù per terra Davide Ferrario restituisce l’immagine di una generazione che arriva tardi a una festa già finita. Walter si muove in una Torino post-industriale, svuotata delle certezze del boom economico ma ancora intrappolata nelle sue narrazioni. Il film non racconta una ribellione, bensì uno scollamento profondo tra individuo e struttura sociale. Walter non trova posto perché il posto che gli viene offerto presuppone un’adesione totale a un modello di vita che non sente più come proprio. Ferrario intercetta così una transizione storica: il momento in cui le promesse della modernità — lavoro, stabilità, progresso — smettono di funzionare come orizzonte credibile, ma continuano a gravare sulle spalle di chi cresce.

Il peso sociale della modernità e la fragilità del soggetto

Il disagio di Walter non è riconducibile a una singola istituzione, ma a un peso sociale diffuso che attraversa ogni ambito della vita. Come ha osservato Ulrich Beck, la modernità avanzata trasferisce sull’individuo la responsabilità di dare senso e coerenza a un mondo frammentato. Walter interiorizza questa pressione fino a esserne paralizzato. L’università, il lavoro, le relazioni diventano luoghi di valutazione continua, non di esperienza. Questa condizione oggi appare radicalizzata: i giovani non solo subiscono aspettative esterne, ma le amplificano, trasformandole in auto-controllo costante. Il risultato non è l’azione, ma una stanchezza mentale che precede ogni scelta, una sensazione di inadeguatezza permanente che non trova sfogo né soluzione.

Abbondanza di mezzi, povertà di visione

Uno degli aspetti più attuali di Tutti giù per terra è la rappresentazione di una società in cui non manca nulla, ma sembra mancare l’essenziale. Già nel film, il sapere, la cultura e persino il lavoro appaiono svuotati di senso. Oggi questa dinamica si è estremizzata in una società dominata dai dati, dall’efficienza, dalla competenza tecnica. Come suggerisce Zygmunt Bauman, l’abbondanza non produce sicurezza, ma precarietà, perché nulla è destinato a durare. La cultura si trasforma in informazione, l’informazione in rumore. I giovani si trovano immersi in un flusso continuo di possibilità apparenti che non si traducono in progetto. È una ricchezza che non genera futuro, ma immobilità.

La perdita del desiderio

Il vero punto di contatto tra il film di Ferrario e il presente non è la precarietà economica in sé, ma la perdita del desiderio. Walter non sogna un’ascesa sociale, né una carriera definita: il suo smarrimento è più profondo, riguarda l’impossibilità di immaginare un altrove credibile. Mark Fisher ha descritto questa condizione come incapacità di pensare alternative reali a un sistema percepito come inevitabile. I giovani di oggi sembrano vivere nello stesso orizzonte chiuso: tutto è teoricamente accessibile, ma nulla appare davvero desiderabileTutti giù per terra racconta così una caduta silenziosa e collettiva, in cui non si cade per mancanza di mezzi, ma per assenza di senso.

Infine, vi invito a prendere visione del film Tutti giù per terra, lo specchio di una società che evolve economicamente ma non culturalmente. Prendendo consapevolezza di questo filo rosso che collega le ultime generazioni, possiamo ascoltare meglio i nostri desideri e abbandonare la pesantezza imposta da un sistema che spesso non ci rappresenta.

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