Per prepararmi alle ultime dodici puntate (e poi mai più per sempre, ahimé) di Grace & Frankie ho rivisto quasi tutte le sette stagioni. E’ finora la produzione più lunga della storia di Netflix.

La casa sulla spiaggia di San Diego e il mondo che le gira attorno mi hanno abitata per giorni. Intanto perché San Diego, cittadina californiana quasi al confine con il Messico, è uno dei posti più belli che abbia avuto la ventura di visitare.

Ma soprattutto perché Grace & Frankie è stata una creazione spartiacque per molti versi, fortemente voluta dalle amiche Jane Fonda e Lily Tomlin, già varie volte impegnate in produzioni femministe (fin da Dalle nove alle cinque orario continuato, 1980, dove con la splendente Dolly Parton erano le impiegate di un ufficio poco aperto alle esigenze delle donne; non a caso, nell’ultima puntata, Parton fa un’apparizione angelica, benedicente).

Questa è stata una serie sulla vecchiaia in allegria, pervicace, gloriosa, ricca di esperienza e decisa a non mollare; non a far finta di essere giovani, ma ad essere orgogliosamente anziani senza perdere amore, piacere, sesso, lavoro, autonomia, progetti, finché si può.

Il tema risuona nelle persone di mezza età (come me) – anche se mica tutte possiamo essere Jane Fonda e soprattutto avere i suoi zigomi (o i suoi bellissimi capelli grigi; in questa ultima stagione smette di tingersi).

La serie si interrompe perché appunto, gli attori sono troppo anziani. “Non ci sono certezze che nessuno di noi sarà qui fra sei mesi” dice Sol all’ex moglie Frankie nella puntata 11ma. “Credi che io non abbia paura? Mi addormento la sera piangendo nel mio cuscino… ma fa parte dell’invecchiare”.

In una intervista alla CBS per presentare queste ultime puntate, Jane Fonda ha sottolineato che essere vicina alla morte non le dà più fastidio di tanto. Quel che davvero la infastidisce è sentire che il suo corpo non è più suo.

E questo è il tema dell’ultima stagione di Grace and Frankie: la morte si avvicina ma prima verrà il decadimento, bisogna saperlo affrontare. Potrebbe essere tutto terribile, ma per miracolo, non lo è.

La storia ormai, penso, è nota: le mogli di due avvocati vengono informate ad un pranzo che i mariti hanno una relazione da vent’anni tra di loro e intendono sposarsi, e quindi bye, saludos amigos, se ne vanno di casa – non senza sensi di colpa e rimpianti.

Le due signore ormai settantenni, che si sono sempre conosciute e detestate, Grace Hanson algida bellezza e donna d’affari che carbura ad alcol (Fonda), e Frankie Bergstein, calorosa eccentrica artista vegetariana immersa nello yoga e nell’esoterismo (Tomlin), si ritrovano a vivere insieme nella casa sulla spiaggia, che i mariti avevano comprato per passare insieme i weekend, e diventano amiche per la pelle.

Tutto questo nelle prime tre puntate: dopo, la storia segue le due coppie (gli ex mariti gay sono un meraviglioso Martin Sheen, irlandese cattolico che si riciclerà come attore di musical amatoriali, e un affettuoso ebreo, Sam Waterston), ma anche i loro quattro figli (i due maschi adottivi dei Bergstein e le due biondissime ragazze degli Hanson), ormai adulti e impegnati fra relazioni, divorzi, problemi di lavoro, di alcolismo, di case.

A contorno ci sono gli uomini che Grace e Frankie scoprono nella loro nuova vita – ce ne sono un bel po’ – e alcune amiche che le seguono nella loro carriera di novelle imprenditrici prima di una crema lubrificante intima, poi di un vibratore per signore artritiche, poi di un wc che si autosolleva.

Fra tutti i comprimari spicca la Brianna di June Diane Raphael, figlia di Grace, miscuglio di gelo e tenerezza che si difende con le unghie e con i denti, elegante, intelligente, sarcastica, crudele, aiutata da una voce rocamente stupenda.

Dietro Grace & Frankie c’è Martha Kauffman, storica produttrice di Friends. Altro tema fondante è l’amore di due gay ex finti eterosessuali: cosa vuol dire aver vissuto nascosti e aver inflitto a moglie e figli vent’anni di bugie; ma anche, cosa significa scoprire il mondo dei gay da anziani, e imparare a selezionare fra quello che si vuole, e quello che non si desidera affatto.

La produzione delle ultime due stagioni è stata fortemente incidentata dall’emergenza Covid; tanto che questa settima è stata prodotta e resa disponibile in due tranche – inizialmente solo quattro puntate.

Lungo gli anni, la serie ha assunto a volte tratti farseschi (troppo), ma a volte profondamente commoventi. Queste ultime dodici puntate cercano di venire a patti con la fine. Le malattie, la prospettiva della morte, la rassegnazione. Oppure la necessità di non rassegnarsi mai.  E’ la vita dei protagonisti; è la vita dei quattro magnifici attori che li interpretano.

Quello che emerge è la loro capacità di prendersi in giro da soli. Dei quattro, Waterston (Sol Bergstein), eccellente caratterista, è il meno noto al pubblico italiano. Martin Sheen (Robert Hanson), madre irlandese come nella serie, ha una filmografia sterminata  (per esempio Apocalypse Now, il film di Coppola); forse il suo ruolo più noto in TV è il presidente della serie West Wing. Lily Tomlin, che debuttò nel 1975 in Nashville di Robert Altman (a lei Keith Carradine cantava I’m easy per portarsela a letto) è molto nota negli Usa, meno da noi.

Jane Fonda, però, è altra storia. Figlia di Henry, sorella di Pete (Easy Rider), interprete di una lunghissima serie di successi (citerò solo con Robert Redford A piedi nudi nel parco e Il cavaliere elettrico, ma anche Tornando a casa, Non si uccidono così anche i cavalli); autrice di un’autobiografia (La mia vita finora), in cui racconta con franchezza della difficile infanzia e dei matrimoni con Roger Vadim quando era un’icona sexy (Barbarella), e poi con il magnate Ted Turner; pioniera dell’aerobica casalinga negli anni Ottanta con una serie di videocassette di incredibile successo, il Jane Fonda’s Workout; negli ultimi anni, attivista convinta per il clima e partecipante ai sit-in dei Fridays for Future. Le siamo grati di molte cose – anche di somigliare tanto al bellissimo padre.

Si è parlato dunque di amore, e di sesso in tutti questi anni. Ma anche di displasia dell’anca, problemi articolari, infarti, tumore alla prostata, adozioni, parti, problemi di demenza, ridendo a crepapelle – sebbene nell’ultima stagione il riso sia sempre più velato di malinconia; è un lungo commiato dalla vita e dal corpo che non regge più. Quello che emerge e che trionfa, più ancora dell’amore, è l’amicizia; finché questo magico elisir, questa pozione miracolosa c’è, è possibile affrontare tutto.

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