Non poteva che essere greco il regista che ha messo sul grande schermo la storia a tinte gotico-vittoriane, Povere creature, scritta dallo scozzese Alasdair Gray. Non sto facendo ethno shaming, la mia è una semplice battuta da fanatica della cultura greca, da brava nipote di una filologa classica, Eva Greco Romanelli. Infatti, Yorgos Lanthimos (The Lobster, Il sacrificio del cervo sacro, La favorita, mica robetta) toglie il figlio dalla pancia della madre e lo fa nascere dalla di lei testa: ricorda qualcosa?

“Povere creature”, la storia

Atena, figlia prediletta di Zeus, nata dalla testa del padre dopo che lui ne aveva mangiato la madre: è più o meno questo il plot, declinato in chiave frankensteiniana (o, appunto, prometeica, se vogliamo restare in Grecia). Infatti lo scienziato Willem Dafoe, sadizzato da bambino dal padre che lo usava come cavia per esperimenti, fino a renderlo eunuco e deformarlo in volto, raccoglie il corpo di una donna suicida incinta e, estrapolato il di lei cervello, lo sostituisce con quello del suo feto, dopo un cesareo.

Lo sviluppo di lei, la mitica Emma Stone (molto diversa rispetto a Barbie ma altrettanto disruptive per noi spettator*), è raccontato egregiamente (regia, sceneggiatura, montaggio, costumi, etc, tradiscono tutti i canoni tradizionali della narrativa main stream) e tocca in maniera intersezionale tutti i punti della Sostenibilità Sociale del Manifesto etico di ReWriters (come spiega alla perfezione l’articolo del bravo Natan Feltrin): è infatti un film femminista che smonta in maniera divertente e disarmante stigma, bias e pregiudizi su patriarcato, poliamore, neurodiversità, sessualità, aborto, suicidio.

La lettura, tuttavia, che mi ha intrigata maggiormente, mentre guardavo il lungometraggio con stupore e coinvolgimento, è quella simbolica. Lo scienziato evirato dal padre che si fa chiamare God e ripara il proprio trauma appropriandosi della capacità generativa femminile (o divina) per mettere al mondo la sua creatura, Bella Baxter. Creatura che, infatti, fa nascere non da una pancia ma dalla testa, a sua immagine e somiglianza. Creatura che, però, in quanto dotata di vita, cresce e diventa autonoma. Lo scienziato a quel punto fa l’esperienza genitoriale tipica, tra protezione e sostegno.

A questo punto la protagonista del film diventa Bella Baxter (la Stone), e dopo essere passata dall’essere creata all’essere figlia, diventa faticosamente soggetto, persona: se il suo cervello di bambina nel corpo di adulta ci aiuta a smascherare bias e pregiudizi su tante esperienze quotidiane di una vita vissuta in una cultura patriarcale e maschilista, il suo desiderio adulto di identità è un viaggio doloroso. Molto toccante, il passaggio in cui Bella Baxter, dopo aver scoperto di essere stata frutto dell’esperimento del padre scienziato e traditore, prova a rinunciare alla sua vita per tornare moglie dell’uomo violento da cui era fuggita (suicidandosi incinta). Missione impossibile, quella di vivere un falso sè, dato che la sua vita, nel frattempo, l’ha fatta diventare la donna che è.

Il passaggio tra infanzia e maturità, l’emancipazione della protagonista

Il film ci ricorda, quindi, che è proprio nel momento in cui ci crediamo orfani, in quel passaggio tra infanzia e maturità (dal bianco e nero del film ai colori vivi) in cui uccidiamo simbolicamente i nostri genitori-creatori, che possiamo metterci al mondo da soli, e scegliere chi essere. Potente davvero il percorso di emancipazione di Bella, in cui la psiche si incarna nel corpo attraverso la scoperta del piacere e del dolore, fuori da ogni convenzione sociale e dalla morale, senza mai essere immorale.

Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia e candidato a undici premi Oscar, il film ci spoglia nudi, costringendoci a toccare con mano credenze grottesche che ci appartengono: micidiale quel grandangolo deformante usato dal regista per dimostrarcelo, facendoci diventare ogni volta un insopportabile personaggio diverso e scoperchiando quella scomoda verità in cui dell’amore inteso come lo intende la cultura patriarcale resta ben poco.

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