Prima di parlarvi dei tv dinner lasciatemi raccontare un piccolo aneddoto. Ricordo ancora le mie prime interviste, ed ero terrorizzata dall’idea che qualcuno mi potesse fare delle domande a cui non avrei saputo rispondere. Man mano che son passati gli anni e le interviste sono aumentate, l’ansia é diminuita e la sicurezza é aumentata. Ricordo ancora una domanda fattami anni fa che mi mise subito al corrente di come l’approccio nei miei confronti, io chef donna, sarebbe stata diversa. Infatti se fossi stata un uomo la domanda “ma cosa cucini a casa per tuo figlio, ci dai una ricetta?” non sarebbe mai stata fatta. E difatti la mia risposta fu “cosa ha risposto Carlo Cracco?” sapendo che, chiaramente, quella domanda non era stata mai fatta a uno chef uomo, Carlo Cracco o altri. 

Ma la cosa divertente é che io a casa non cucino quasi mai, e quando lo faccio é un’occasione speciale. A dir la verità dovrei separare la mia attivitá di cuoca domestica tra pre e post Covid.  Prima del Covid le mie serate a casa erano inesistenti poiché ero generalmente a servizio al ristorante oppure fuori per lavoro, quindi spessissimo invece preparavo la colazione, avendo abituato Luca, mio figlio, a fare colazione all’americana con uova, salsiccia, pancakes o toast. Ammetto che svegliarmi presto la mattina con poche ore di sonno rappresentava un grosso sacrificio, ma era la maniera per coccolare il mio Luca. 

Con il primo lockdown le cose sono cambiate e il tempo la sera ce l’ho. Per cui ora dedico piú tempo al menu e, da madre sola, con mio figlio a settimane alterne, mi diverto a cucinare menu piú complessi e variegati, e mio figlio a volte mi aiuta anche a cucinare. Continuo quello che la mia tradizione familiare mi ha insegnato e cioè trasmettere amore, coccole e far sentire la persona che ricevo amata. 

Mio figlio ha, come tutti i preadolescenti, degli ingredienti che proprio non sopporta, come ad esempio le melanzane o i carciofi per non parlare degli spinaci. Adora la pasta, ma non al pomodoro, se non in situazioni da coincidenza cosmica, con la ricotta salata. I suoi preferiti sono gli spaghetti con olio aglio e bottarga ma c’e una maniera per cui riesco a fargli mangiare quasi tutto e nulla ha a che vedere con il cibo. Ho creato questa routine che fa si che l’atmosfera renda tutto di suo gusto: i tv dinner. La routine prevede che io e lui ceniamo muniti di vassoio davanti alla tv mentre guardiamo un film. Ho spinto fino a fare un picnic con tanto di prato verde e la cosa incredibile é che il cibo, qualunque cosa sia, diventa…buono. 

Proprio questo cambio di atteggiamento di un preadolescente nei confronti di spinaci e simili grazie a un contesto perfetto per lui (i tv dinner) mi ha fatto riflettere sul valore dell’atmosfera e, soprattutto, del servizio. Una delle critiche fatte da sempre da persone coinvolte nel mondo dell’enogastronomia  é che spesso l’ambiente determina il successo del ristorante: se pensate che la Michelin assegna le due e tre stelle basandosi non solo sul cibo ma anche sull’architettura e sul servizio nonché sull’assortimento e il servizio del vino, vi fa capire il peso dell’altro rispetto al cibo.

Le critiche fatte peró sono per me poco fondate. Da sempre sostengo che un cliente che entra in un bel ristorante, curato, con un servizio di sala eccellente che, nel mio caso specifico, si basa sul concetto che io ho definito di “cheers*”, mangia in maniera appena decente, probabilmente potrà anche tornare. Un cliente che mangia in maniera strepitosa ma in un ristorante trasandato e sopratutto con un servizio pessimo, difficilmente ritornerá. La gente comune va al ristorante per stare bene e anche per mangiare bene, per fare un’esperienza enogastronomica ma sempre e comunque per stare bene. É la ragione per cui riesco, con il mio piccolo format da serata tv dinner con Luca, a fargli mangiare finanche un hamburger di spinaci senza che lui batta ciglio e che addirittura, faccia anche i complimenti alla cuoca (!!!). 

La domanda quindi che mi ha sempre incuriosito é perché la professione di cameriere, di maitre, di sommelier non sono mai considerate allo stesso livello per cui la sala é quasi sempre stata concepita come expandable. Ultimamente, con sforzo e grande caparbietá, molti maître e sommelier hanno portato all’attenzione del pubblico questa discrasia e progetti intelligenti come Intrecci stanno facendo passi da gigante. Ma la strada é ancora lunga… Specialmente dopo questa pandemia, con la prevedibile prospettiva di taglio dei costi da parte degli imprenditori, temo che la sala sará la piú colpita. Io, nel mio piccolo, ho sempre messo sala e cucina sullo stesso piano, fu la prima regola imposta quando entrai a Glass, che ancora oggi vale. Riccardo ed Edoardo (rispettivamente mio direttore e mio chef di cucina) sono per me equamente importanti, e d’altronde la sala di Glass, senza Riccardo, non avrebbe quell’atmosfera di totale rilassatezza, trasversalitá e allegria che oggi la caratterizzano. Nella stessa maniera, la cucina, senza Edoardo, non sarebbe quella che invece é. Insomma alla fine la domanda che mi faccio é quando ci sará il Cannavacciuolo di sala?!

Ricetta preferita di Luca 

Spaghetti con olio al trobolotto, aglio e bottarga

Ingredienti per 4 persone • 300 gr di spaghetti • 4 cucchiai di olio evo e 4 cucchiai di olio al Trombolotto • 60 gr di bottarga di muggine •  6 filetti di alici  • brodo vegetale qb • •2 spicchi d’aglio in camicia- 4 cucchiai di pane raffermo, tostato e sbriciolato grossolanamente

Procedimento: cuocere gli spaghetti per 4 minuti in acaqua salata ma non troppo. Nel frattempo, in una padella, riscaldare l’olio, far rosolare l’aglio e le alici. Eliminare l’aglio e aggiungere il brodo vegetale. Continuare la cottura degli spaghetti per altri 4 minuti circa in padella. A cottura ultimata, mantecare aggiungendo olio al trombolotto. Servire gli spaghetti a nido e spolverizzare con la bottarga. Guarnire con il pane fritto. Se si vuole, aggiungere del pepe nero (non per Luca!).

Date un occhio a:

  • Cheers: una serie televisiva in cui in un bar tutti parlano della propria vita e le proprie esperienze. Ma la parte fondamentale è il fatto che “everybody knows your name” come recitava la sigla. 
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