Umanità e sincerità nell’opera di Roberto Rampinelli
Fascinazione dell’apparente reale e la sua vera consistenza. A Vedeseta fino al 18 Agosto 2024 sono esposte le opere di Roberto Rampinelli.
Fascinazione dell’apparente reale e la sua vera consistenza. A Vedeseta fino al 18 Agosto 2024 sono esposte le opere di Roberto Rampinelli.
Alla Casa delle Marcelline, nel piccolo Comune di Vedeseta sul versante settentrionale della Val Taleggio, fino al 18 Agosto 2024 saranno esposte una serie di opere di Roberto Rampinelli. Terre Alte, questo il titolo dell’esposizione a cura del Prof. Fernando Noris, riprende il dialogo del territorio, dopo quattro anni di interruzione, con le mostre di Arte Contemporanea organizzate dal Centro biblioteca comunale di Vedeseta dal 2000.
Il nuovo invito, oltre ad inserire Rampinelli in un contesto familiare, gli offre l’opportunità di esporre le proprie opere silenziose in un luogo altrettanto silente, un piccolo nucleo abitato protetto da prati, da boschi attraversati da torrenti e ruscelli, a circa quaranta chilometri dal capoluogo di provincia: Bergamo. In realtà una scelta non casuale, ma la volontà di Vedeseta di continuare a mantenere l’attenzione verso il proprio Comune solo attraverso esponenti dell’arte e del design contemporaneo che abbiano un legame riconosciuto ufficialmente con il paese, nella relazione profonda tra popolazione e territorio alla radice del sentire: senso e sentimento del luogo.
Ho scoperto, con un pizzico di stupore, un particolare che lega questo piccolo paese alla città in cui vivo, Mantova. Sull’antico stemma di Vedeseta sono presenti tre sbarre di colore azzurro ispirate alle bande dell’arma della famiglia Arrigoni; una nobile famiglia mantovana, discendente da un ramo di Milano, che si estinse nel 1820; Pietro Arrigoni, il fondatore del ramo, dal capoluogo lombardo si trasferì al servizio del Marchese Francesco II Gonzaga, IV Marchese di Mantova (Mantova, 10 agosto 1466 – Mantova, 29 marzo 1519), il condottiero che il 12 Febbraio del 1490 sposò Isabella d’Este.
Intrecci meravigliosi che si comportano come l’acqua allo stato liquido, quando invade una superficie e si propaga attraverso infinite vie di fuga, dimostrano quanti legami possano sempre gettare rapidi fasci di luce su questioni specifiche.
Dipingere è un fenomeno umano che implica la soggettività ed elementi imponderabili. E’ questo il motivo per cui si dovrebbero tener presente le dinamiche relazionali per meglio concettualizzare una pittura che può essere definita realistica, simbolica e in parte metafisica, come un insieme ben amalgamato di sapienti tecniche, al fine di non ridurre la complessità dell’azione artistico creativa.
Se spezzettassimo le diverse componenti di un’opera d’arte, allo scopo di capirne i meccanismi che la regolano e di comprenderne meglio il significato, creeremmo un danno fondamentale: quello del fraintendimento di fondo tra Arte e Tecnica che determina l’appiattimento dell’arte a modelli standardizzati. La conformazione ad uno standard dell’opera non permetterà di visualizzarne lo stile, la particolarità, ma soprattutto la visione del mondo dell’autore. Allora, potremmo chiederci, da dove iniziare l’analisi di opere all’evidenza incompatibili con una società capitalistica caratterizzata dall’imperativo del dover andare obbligatoriamente veloci e pensare all’efficacia della comunicazione artistica in funzione del profitto?
Il lavoro di Rampinelli, a questo proposito, si lega ai testi dello scrittore e poeta Paolo Volponi (Urbino, Italia, 6 febbraio 1924 – Ancona, Italia, 23 agosto 1994). Tra tutti Le mosche del capitale, un romanzo sul mondo dell’industria italiana, della finanza e del potere. Un libro-testimonianza con personaggi che ricordano alcuni fra gli uomini più potenti dell’economia italiana negli anni Settanta e Ottanta, con il quale Volponi annunciò la profonda trasformazione della società in cui oggi viviamo.
Di fronte a chi guarda Rampinelli si pone con l’idea che tutto ciò che sfugga alla connotazione determinata del riconosciuto, appartenga anch’esso alla misura assoluta del mistero, sia materiale che antropologico. L’essenza espressa è il risultato di riflessioni ed elaborazioni che hanno attraversato, non senza brividi, la via inevitabile di chi si accosta alle possibilità infinite offerte da un cosmo di pienezza in un silenzio assoluto. Il non-suono nel tempo e nello spazio, nel luogo di rappresentazione, diviene la superficie dove precisione e potenza generano l’esistente in un altro atto di presenza: la Pittura.
L’azione del dipingere è un’emanazione della sensibilità dell’intelletto che narra, nel gesto creativo, quell’inconfessabile desiderio di trasformare la forma e il colore in un linguaggio di oggetti significanti, evocatori della realtà, con una personale rispondenza al vero. L’analisi del mondo che circonda l’artista è fatta con fiducia nella relazione tra coscienza e immagine, nell’intraducibile materia lasciata fluire da un pensiero che è il proprio enigma corso in aiuto per superare le crisi che presenta la vita.
Dalle superfici si eleva nel silenzio l’arcano che concede agli occhi di intuire, anche solo per un istante, che ciò che accade non è solo determinare il segno e guidare l’andamento della materia colore come avventurosa funzione delle doti di un artista, ma è desiderio di permanenza nella testimonianza concreta dell’essere presenti in un tempo e in un’armonia inscritta nel creato.
Nello sporgersi in pittura l’artista delinea confini e collegamenti tra il mondo fisico, occupato realmente da chi osserva, e il mondo in cui gli elementi della natura o gli oggetti sono rappresentati. La barriera tra chi dipinge e chi guarda è insieme confine e filtro, unisce e divide lasciando in quegli orizzonti di senso, immagini sospese che si affacciano solo all’anima interiore di coloro che osservano. Sulla carta l’apparire è lieve ma inciso da un linguaggio che è dono, un – vero attento – come ombra di una silenziosa ritualità di sottili tensioni nella costruzione dello spazio-dell’incalcolabile che, per accogliere bellezza, richiede riguardo, gesto e sguardo.
Nella crescita delle proprie forze spirituali, che gradualmente ne hanno maturato l’opera, Rampinelli dimostra il valore di una pittura libera, per impulso interpretativo, e dell’inutilità di ridurre l’analisi alla sua sola forma. L’applicazione di una teoria della critica che muova sui modelli esemplari accademici, che comunque sono parte della formazione dell’artista, risulterà ingannevole e inapplicabile se non si considererà la presenza della relazione dell’opera con ciò che la circonda.
L’idea di pittura, che egli sente di dover testimoniare, si completa nella maturata esperienza multidisciplinare, nello scandirsi plastico della forma nella luce, nel distanziarsi algido e straniato dei volumi. Non la luminosità, ma l’opacità è la dimensione sulla quale la luce si posa e con la quale le soluzioni di lumeggiature e ombre raccontano l’intenzione radicale; solo attraverso una ripensata fisiologia delle forme nella luce e una determinazione della condizione del corpo della visione pittorica, è possibile una pittura di realtà solida e razionale.
E’ la ricerca in sé di un vero umile, rispettoso e determinato, dove luci notturne o energie che paiono incidere la superficie e percorrere il segno descrittivo di una situazione vitale in un tempo sospeso, rivelano ogni volta l’acquisizione diversa di quei dati immediatamente visibili. Ecco che allora il primo piano abolisce la distanza che prima di essere ottica è mentale, e i paesaggi crescono dichiarando la propria corporeità ottenuta per equivalenza raggiunta intellettualmente.
Roberto Rampinelli ri-costruisce e continua a voler ri-costruire perché la vita preme con forza e sgretola le aspettative. Nell’atto di dipingere si pone in ascolto perdendo sé stesso, accoglie l’immaginario che abita il mistero di un visibile alla ricerca dell’assoluto lavorando su un reale pensabile e sperimentabile.
Se ciò che si vede è interpretazione e rappresentazione del reale – vera presenza – anche il contributo di lettura dovrà essere dichiaratamente narrazione soggettiva e intuitiva; e se il linguaggio artistico non nega se stesso come modo dell’essere, l’analisi dovrà addentrarsi seguendo le direzioni indicate dal segno, come strade da seguire per far risalire, dall’invisibile presente, la natura o il paesaggio nella perfezione di una figurazione che è simbolo che sorge e vive nel regno dell’arte. Uno spazio leale che fa esercizio di verità nel rispetto della terra, dell’umanità e delle sue ombre, dove lo sguardo compone rivelazioni senza confini, come voce nel tempo di forti domande nel silenzio del vero.
Roberto Rampinelli
Qualche informazione su Roberto Rampinelli.
È nato a Bergamo nel 1948. Ha frequentato la Scuola Superiore d’Arte del Castello Sforzesco di Milano e i Corsi internazionali di Tecnica dell’Incisione di Urbino, sotto la guida di Carlo Ceci per la litografia e di Renato Bruscaglia per l’incisione. Dal 1981 al 1988 ha insegnato tecnica dell’incisione presso la Scuola d’Arte del Castello Sforzesco di Milano. Si è dedicato all’illustrazione di libri, ed ha pubblicato varie cartelle di grafica.
La pubblicazione delle immagini fotografiche di Pietro Arrigoni in questo articolo della Rivista Digitale ReWriters è stata autorizzata da Roberto Rampinelli.
1 Comment
Buongiorno. Ho letto con profonda ammirazione quanto è stato dedicato all’opera di Roberto Rampinelli. Un grande complimento per la profondità del pensiero e perla brillantezza della qualità di scrittura. Un caro saluto. Fernando Noris.