Che il produrre vino sia un’arte oltre che un mestiere, non ho alcun dubbio. Poi da appassionata di storia di questo meraviglioso nettare, quando, leggendo, trovo riferimenti che hanno il seme della attualità, non posso che condividerli. Le Arti Maggiori e Minori sono state, nel primo Rinascimento, l’esempio di come si creavano congregazioni in ogni tipo di lavoro. Così mi sono immaginata di fare un salto indietro e per un tempo limitato, per andare a visitare un locale d’allora.


“Mi scusi é qui per la macchina del tempo?”.
“Sí, prego, si accomodi”.

Lascio questa piazzetta di San Martino a Firenze, guardando stradine e un po’ di turisti. Salgo in quest’auto che mi ricorda qualcosa. Mi siedo e allaccio la cintura, osservo ancora un attimo fuori e sono pronta. Ho appena bevuto un bicchiere di vino, perché non si sa mai. Un po’ di sano benessere aiuta ad affrontare le situazioni sconosciute.

Il motore sta per accendersi… 1, 2, 3! Partita. Sento un ronzio che quasi quasi mi accompagna al sonno. Chiudo gli occhi un attimo così per dare seguito a questa sensazione, ma quel rumore sordo lascia il posto alle voci della gente. Che sia già arrivata? Davvero il tempo vola, direi con certezza.

Scendo dalla macchina in un posto leggermente defilato. Fará parte del pacchetto, penso, mentre comincio a camminare. In pochi passi arrivo di nuovo nella stessa piazza da cui sono partita. Continuo ancora, e le strade sono brulicanti di gente indaffarata a lavorare. Maniscalchi, lanaioli, falegnami ognuno con la propria bottega. I vecchi artigiani di cui Firenze ha sempre fatto vanto. Ma il vero motivo del mio viaggio é come sempre il vino, le sue storie e le sue regole. Così ho chiesto di essere trasportata nel 1301. Per cui mi soffermo davanti ad un fornaio e pur sapendo che si insospettirà della mia presenza, gli domando:

“Scusi buonuomo! Dov’è che posso mangiare e bere? Ho fatto un lungo viaggio e vorrei rifocillarmi“.  Forse avrei avuto bisogno di Google traduttore per parlare il fiorentino antico, ma non credo sia presente nell’applicazione. Mi squadra e dopo qualche minuto mi risponde:

“ Uhmmm… la vada più avanti. Troverà l’osteria del Dióspero. Faccia attenzione alla chiorba, perché per entrare bisogna scendere”. “Grazie, e buon lavoro”.

Proseguo qualche metro e sulla destra trovo un’insegna di legno d’olivo con inciso la parola Osteria. Scendo abbassando la testa e mi trovo dentro uno spazio grande, con tavoloni e panche. Le mura sono scure, piene di strati di umido e di tutto il resto che una cucina può produrre. Gli avventori sono allegri, le loro voci alte, ma non fastidiose. Tutti si girano a guardarmi mentre vado verso il banco, ma la loro attenzione dura molto poco. Immagino per loro, che sia meglio farsi i fatti propri. 

“Buongiorno signore, vorrei bere del vino e mangiare” chiedo all’oste. Sembra uscito da un libro. Rotondo di fattezze, capelli riccioli, barba non troppo lunga, ma soprattutto quel cencio buttato sulla spalla, che come minimo dorme con lui. Continua a fare le sue cose e senza troppi convenevoli con voce ferma mi dice:

“Zuppa di fagioli, zuppa di cavolo e roventini. Per bere un toscanello. Si metta là – con il dito mi indica un posto – glielo porto io”.

“Zuppa di cavolo e toscanello” scelgo, e vado dove mi ha detto. Nel frattempo che aspetto, continuo ad osservare donne e uomini che condividono il desinare parlando di paghe e lavoro. Non sembra molto lontano dal mio mondo!! Arriva la ciotola in terracotta, magari dell’Impruneta, cosí come il boccale per  il toscanello, che non è altro che il fiasco impagliato: quasi 2 litri di vino. Ora capisco bene bene quel vecchio detto che “il vino faccia sangue”. La prima cucchiaiata di verdura è squisita, gli chiederò la ricetta. Ora assaggio il vino. Mmmmm….. diciamo che sto bevendo un’altra cosa. Di sicuro c’e l’uva di Sangiovese, ma probabilmente mescolata ad altro oltre all’acqua. So che in questi anni lo si beveva subito dopo la vendemmia e se si aspettava l’estate il prezzo aumentava a dismisura. Solo i ricchi signori potevano permettersi vini invecchiati e bicchieri di vetro. Sicuramente in questo abbiamo conquistato un privilegio. Alla fine del mio pranzo, torna Diòspero, che immagino abbia quel nome per il colore dei suo riccioli, un rosso tendente  all’arancio, che con fare non troppo elegante esordisce: “Che posso portare via?”.

“Certo, ma prima posso chiederle se anche lei fa parte della congrega dell’Arte dei Vinattieri?”

“Che razza di domanda è, per Dio!” Improvvisamente capisco che ho fatto una sbaglio, tant’è che si girano tutti nuovamente. 

“La legga là, dietro il banco. Ci sono le regole – mentre alza la voce mi sprona ad andare a controllare – e non sarei qui. Ma lei che la vole da me?”

“Si calmi, davvero!” spiegare a questo uomo chi sono e cosa faccio  è leggermente difficile. Potrei dirgli che sono una riscrittice e che questo lo potrebbe trovare su ReWriters, ma dubito di essere capita e di non finire nelle galere. Per cui: “Mio marito ha un’osteria a Lucca e vorrebbe capire come funziona. Ecco tutto lí!”

Chissà quale delle due parole tra marito e Lucca ha avuto più presa, ma si è calmato.

Mi alzo e vado verso quel foglio mezzo marcio attaccato dietro il banco e comincio a prendere mentalmente nota. Innanzitutto il simbolo, un calice rosso su fondo bianco dove sotto é scrittoArte dei Vinattieri “ e riporta l’anno 1282. Di seguito le regole che devono essere, evidentemente, comuni a tutte le osterie.

  • qui si apre alle 6 e si chiude alla notte
  • si obbliga ad acquistare un certo quantitativo di botti, orci e bicchieri solo presso i fornitori che facciano parte dell’associazione, il cui prezzo e qualità siano stati contrattati direttamente dai consoli
  • divieto di gioco d’azzardo e di dadi
  • non si vende vino nei giorni d’astinenza e il venerdì s’apre solo dopo la messa
  • é proibito l’allettamento dei viaggiatori a scapito dei colleghi, di fermarli per strada e di obbligarli ad entrare
  • divieto di vendere pane salato che induce alla sete

Mi giro verso di lui, sorridendo, e con gentilezza parlo: “grazie, mi é stato di grande aiuto”.

Ora aspetto la carrozza e torno a riferire. “Vuol dirmi quanto le devo dare?”. Non credo che prenderanno il bancomat. Per fortuna durante il trasporto temporale mi hanno dotato di qualche fiorino.

“Sarebbe mezzo fiorino e lo voglio – dice allungando la mano – “poi visto che le interessa tanto vada alla Chiesa di San Martino Vescovo, così la trova lo statuto”.

Cerco nel sacchetto di velluto la moneta. Lo pago e ed esco velocemente. Il mio tempo sta per scadere (come sempre) per cui corro dove mi ha suggerito. Mentre sto per arrivare, incrocio il mio autista, non di carrozza, ma di quella macchina che mi ha portato sin qui. Mi guarda e batte la mano sulla parte superiore del polso, dove un grosso orologio fa rumore al passare di ogni minuto. Capisco che non posso andare a prendere e portare via con me quello statuto per certi versi così moderno. Per cui, dispiaciuta, lo seguo. Salgo sull’auto di nuovo. Mi allaccio la cintura e penso a Dióspero. So gia che sarà veloce. Infatti come niente, eccomi di nuovo qui, in questo mondo, dove il vino ha la sua importanza.

Mi resta la curiosità di comprendere meglio quell’Arte minore che é stata la piú importante delle 14 esistenti. Ne facevano parte mercanti, venditori al dettaglio, locandieri, sensali ed osti con tanto di giuramento ed iscrizione. Tutto veniva sorvegliato dai Capi dell’Arte, ma più precisamente la corporazione era retta da 4 Consoli, scelti tra le famiglie Guelfe, i quali restavano in carica 4 mesi ed erano assistiti da 12 Consiglieri  ed un Notaio. Lo Statuto della Corporazione é presente nell’Archivio di Stato ed é datato 1337. Ora, alla luce di tutto questo, mi viene da pensare che in quanto a burocrazia  o ad un Grande Fratello, non abbiamo mai scherzato sin da quei tempi, ma che alla fine, quelle stesse regole siano ancora terribilmente attuali. 

C’è una regola che valeva più delle altre. Per fare il vinattiere, bisognava avere una condotta morale sopra ogni sospetto,  un grande numero d’orci, misure, tazze e bicchieri.

Io l’interpreterei cosi: ora sulla condotta non mi permetto di giudicare, ma sul tutto il resto, a parte le tazze, ci metto la firma, sopratutto sugli orci. Perché in mancanza di tutto ciò: danno, de cittadini ed in ispecie degli huomini di detta arte.

Fonti:

Francesca Morandini: “Statuti delle arti dei Fornai e dei Vinattieri” Ed. Leo S. Olschki

Luciano Artusi: “Le Arti e i Mestieri di Firenze” Ed. Newton & Compton

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