WTF really? That is: what the food, really? E’ la domanda che mi sono fatta qualche giorno fa, in altri termini: cos’è la valenza emotiva del cibo? E’ il tardo pomeriggio del 22 Dicembre scorso, c’é una piccola emergenza al ristorante mentre io sono a casa dopo una giornata impegnativa e mi preparo per andare a Carta Bianca. Decido di farmi due bellissime salsiccie comprate dallo storico Iacozzilli a Trastevere e non vedevo l’ora di addentarle. Vabbé, messo il coperchio sulla padella, immaginando la temperatura perfetta al mio ritorno, mi metto la giacca e mi avvio verso il ristorante. 

Malauguratamente cado per strada, faccia a terra. Essendo una persona generalmente forte ed energica che reagisce subito, mi rialzo e arrivo a Glass, dove Vanessa e Riccardo mi dicono che sanguino. Io penso dai su, sará un graffio.  Ritorno a casa, mi apparecchio la tavola, vado per addentare la salsiccia ma nulla…. non riesco ad aprire la bocca. Non mi va di avvisare la Rai della mia indisposizione a un’ora prima dalla diretta con Bianca Berlinguer, quindi vado, con mento sanguinante e tutto (grazie Viceministro Pierpaolo Sileri per avermi visitato dietro le quinte!). Finita la diretta, é la volta del FatebeneFratelli dove esco la mattina successiva alle 8am. Risultato? Mandibola fratturata, un paio di costole incrinate, 3 punti al mento, bozzi e escoriazioni varie. Mi reco al San Camillo dove arriva il verdetto… operazione necessaria. Nessun posto al San Camillo, quindi il 24 mattina ricovero in clinica (mi raccomando, assicurazione medica!!!).

Operata il giorno della vigilia, al mio risveglio, mi rendo conto di non poter aprire la bocca. E si, mi sono trasformata in Hannibal Lecter con le labbra di Alba Parietti. Tralasciando le labbra, la prima sensazione é stata di essere in gabbia, mi sembrava di impazzire. E poi subito dopo arriva la domanda che mi assilla tuttora: ma come e cosa mangio? Ed ecco che arrivo al nocciolo della questione, la valenza emotiva del cibo.

The butterfly by Noma

Tornata a casa il giorno di Natale trovo la mia amica Alessandra con brodo di pollo, omogeneizzati, un cuscino a forma di cuore e una marea di cannucce. Eh si, lei, essendo medico, sapeva cosa mi aspettava! Altri miei amici sono pronti con miele, frullati, medicine, consigli e tutto l’ambaradan. La mia forza (e la mia debolezza) é che proprio non ho bisogno di molto e questo mi rende estremamente antipatica. Lo so, non negate! Sará forse perché ho vissuto a lungo da sola. Sará forse perché sono una donna del sud, ma proprio ho bisogno di poco, ma non pochissimo, per cui il brodo di pollo di Alessandra mi ha riscaldato il cuore. 

Ad oggi, 27 Dicembre, sono esattamente 5 giorni che non mangio cibi solidi e ho una fame nera ma non perché abbia veramente fame… quello che mi manca é il sapore, il piacere fisico di addentare una focaccia calda barese con quei pomodori umidi, un mouthful di tortellini con la panna oppure un elegante sashimi di ricciola con quel finale di wasabi oppure una scarpetta scrocchiarella a tavola con mio padre e mia madre. 

Scherzando dico che c’é chi conta pecore, io conto polli.
Mi sono soffermata a pensare sul perché il mio pensiero costante é cosa mangeró appena mi taglieranno questi maledetti ferri che mi serrano la bocca. Perché, vedete, dopo un paio di giorni che non si mangia, in realtá la sensazione di fame svanisce quasi totalmente. Posso bere quello che voglio e quindi succhi di frutta, brodi, vino (yeah!), birra (double yeah!), yogurt… Ma manca qualcosa, ma cosa? Il cibo, da sempre é piacere fisico e spirituale… gli spaghetti alle vongole in riva al mare portano alla memoria felici momenti familiari, quell’incredibile imitazione di farfalla di polline e fiori mi porta a Copenaghen con Eleonora, quel risotto alla milanese servito nello stinco mi sbatte diretta al bancone di Cesare a Milano, il serpente alla brace mi porta nel mio adorato Texas con la mia Lorie, cosí come il pastrami, quello vero, mi porta con Emanuela a New York. E non ci ricordiamo solo cibi buoni, ma anche quelli pessimi, come ad esempio quella tremenda ostrica con altri intrugli mi ricorda di un amore forse mai esistito. Ma ruota sempre intorno al cibo. Il cibo fa parte di chi siamo, ci forma, ci scolpisce. Noi siamo legati al cibo indissolubilmente e non per una questione di nutrimento, perché questo é comune all’essere umano, ma va oltre. 

In psicologia infantile si sa quanto dannoso sia per la formazione della personalitá negare il cibo ai bambini (il famoso vai a letto senza cena), e quanto invece ci sia una profusione di amore nei nostri pasti in famiglia, una pizza con gli amici, oppure il pulire 10 kg di ricci giusto per divertirsi un sabato sera. Ma poi, tutto il cibo legato alle feste! Io sono fortunata: il mio profondo legame con il cibo saltella dalle scarcelle con la glassa o la pizza dei morti di nonna alle patate americane con brown sugar e marshmallow, dai tortellini in brodo di cappone al brasato al barolo della mia ex suocera che diceva sempre “deve essere un barolo buono altrimenti viene una peciata!”. Insomma non é solo un ricordo indelebile: é di piú. É quello che ci forma dentro; é quello che ci modella facendoci diventare quello che siamo. 

In poche parole, ho imparato a relazionarmi con il mondo tramite il cibo sin da bambina. Così come il circondarsi di bello ci rende piú belli dentro, il cibo ci forma e ci rende piú caldi, piú umani. Almeno io penso questo. Il mio continuo pensare e scegliere con cura cosa mangeró per prima cosa appena potró non é una questione di golositá, ma di che cosa vorrò provare e ricordare in quel preciso istante. Cambio da piatto a piatto poiché l’anticipazione di quello che proveró non sará solo il sapore, ma tutte le emozioni che quel piatto mi porterá alla mente, la passione, l’amore, il divertimento che mi riempiranno l’anima. Ecco dunque cos’è la valenza emotiva del cibo.

Non sono una particolarmente espressiva, sono una di quelle con la faccia da poker (a cui tra l’altro adoro giocare) ma che dentro hanno un motore con marcia costantemente ingranata e il cibo, ne sono convinta, é la mia benzina.

La mia colazione preferita? E’ quella in ricordo di Nonna Ninetta, con la quale andavo a prendere le uova dal pollaio. Due tuorli sbattuti energicamente con due cucchiai di miele millefiori, 2 caffé espresso e un po’ di cioccolata al 70% grattugiata. Vi tiene su per una giornata intera!

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