Indubbiamente l’essere umano è affascinato dall’universo zoologico e non è azzardato ammettere una vera e propria passione che ci lega alle altre specie. Non si spiegherebbe altrimenti la nostra tendenza a vedere animali nelle costellazioni e nelle nuvole, a utilizzare simbologie zoologiche nella religione, nella mitologia o nell’araldica, a cercare analogie di carattere e di somiglianza nella fisiognomica, a popolare le fiabe dei nostri bambini con personaggi teriomorfi ossia umani sotto spoglie animali.

E’ di questa relazione tra esseri umani ed altri animali che parlo nel mio ultimo saggio L’amore per gli animali, edito da Lindau per la collana I Delfini.

Potremmo pensare che si tratti di un retaggio culturale, emerso casualmente e poi mantenuto dalla tradizione, ma questo non spiega quell’interesse spontaneo e l’orientamento entusiasta che qualunque forma animale evoca in un fanciullo fin dai primi mesi di vita e anche la puntualità con cui si riscontra l’attore animale in tutte le culture.

Certo, come tutti gli amori anche questa infatuazione presenta luci e ombre e sbaglieremmo a pensare che la passione per gli animali sia stata improntata sul rispetto perché, accanto a indubbie professioni di empatia e di attenzioni di cura e di alleanza, esiste anche una dark side di questa relazione, sovente costellata di contraddizioni.

Nel rapporto con gli animali, al di là delle cause scatenanti e delle differenti espressioni in cui si manifesta, la passione e l’interesse sono sempre presenti. In questa relazione l’essere umano ha rinvenuto le ispirazioni per le sue produzioni culturali:

  • attraverso le armonie dei fringillidi costruisce il suo sillabario di musica;
  • nei rituali di corteggiamento delle gru le sue prime lezioni di danza;
  • nel volo di un’aquila l’annunciazione della dimensione del volo;
  • nelle tele di argiope l’arte della tessitura;
  • negli stili di predazione dei lupi gli archetipi degli schemi di gioco;
  • nei disegni e nelle maculazioni dei felini una cosmesi in nuce;
  • nei complessi superorganismi degli imenotteri le organizzazioni in caste;
  • nei letargici ritiri degli ursidi la sua passione per le cattedrali;
  • nell’arte edilizia delle vespe i primi rudimenti di lavorazione dei materiali lignei e calcari.

Le gru coronate hanno ispirato le danze dei Masai

E se l’imitazione è sostenuta dalle grandi capacità umane di rispecchiamento, è nondimeno il desiderio a sostenerne lo sforzo.

La biodiversità è un immenso vocabolario di eccellenze performative, perché perfezionate dalla mano infallibile della selezione, una fonte cui attingere per allargare la propria dimensione esistenziale.

L’animale è un’epifania, capace di ispirare nuove modalità di essere nel mondo, di suggerire idee e produrre slittamenti identitari ancor prima di immaginarne un’applicazione o un fine.

Vedere il volo di un uccello non significa solo avere un modello che ci esemplifica il come volare, ma sapere che si può volare. La dimensione ascensionale del volo, nell’angelo come nell’iperuranio delle idee, precede la tecnica di Leonardo da Vinci, entrambe tuttavia coniugate nell’empito del farsi-animale.

L’epifania è una rivelazione e un’ispirazione, che vede l’essere umano sognare attraverso il corpo di un eterospecifico, provando il brivido di altre dimensioni esistenziali, cercando un’identità attraverso l’aiuto dello spirito guida animale.

Ma perché l’uomo sogna
attraverso gli animali?

Sono portato a rispondere dickianamente perché sogna animali. E’ così che il nostro mondo si popola di arpie e centauri, di licantropi e vampiri, di animali antropomorfizzati e umani teriomorfi… In una trasfigurazione sciamanica dove il diventar animale è un modo per appropriarsi di qualità magiche da portare in dono alla comunità degli uomini.

L’essere umano si specchia nell’animale, lì può rinvenire similitudini come contrappassi, usufruire del materiale utile per estrarre simboli e metonimie, appoggiare tanto i sogni più estremi quanto le paure di base. Per questo, fin dalle prime esperienze, ci troviamo avvolti da riferimenti zoomorfi: popolano le fiabe di un bambino, danno forma ai significati e alle rappresentazioni del sé e del mondo, formalizzano i contenuti sfuggenti dell’inconscio, incarnano i manufatti che ci circondano, sostanziano le nostre proiezioni incognite, siano angeli o demoni, entrano nei modi dire e negli appellativi che usiamo per caratterizzare vizi e virtù.

La biodiversità diviene allora un caleidoscopio di possibilità che si disvelano nel momento stesso in cui cessano di essere meri fenomeni per apparire, in virtù dell’amore, come vere e proprie rivelazioni. 

L’animale è perciò la maschera per antonomasia che consente di trarre dall’uomo la persona, di dargli cioè dei contorni che possono essere utilizzati per definirne il profilo, per sancire un’appartenenza.

L’attore animale è facilmente svelabile nei dipinti realistici che riportano scene di caccia o rituali, ma è presente anche in altre forme seppur più criptiche come nella stilizzazione di anatomie animali nei più comuni pittogrammi.

L’eterospecifico è perciò il grande protagonista di ogni narrazione, ovviamente con trattamenti diversi nelle varie epoche. Dal teriomorfo minaccioso, protettore ed espressione di una natura indomita con cui l’uomo era chiamato a un confronto quotidiano, alla presenza benevola, che a questo punto diventa essa stessa protettrice – si pensi ad Anubi o a Bastet – l’animale segue passo dopo passo il cammino dell’uomo, lo informa e ne lascia le tracce più consistenti.

L’eterospecifico divenuto maschera perde il suo significa di estraneità e si fa alterità, vale a dire interlocutore ospitale: è punto di confronto ma nello stesso tempo entità introiettata, perlomeno in parte. L’animale è perciò altro ma non più estraneo: più fili invisibili ci legano a lui, ci riportano a lui.

Si tratta pertanto di una maschera che prende vita propria non appena indossata e, in fondo, è ciò che candidamente chiamiamo cultura. 

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