Uno dei sogni che avevo fin da piccolo, quando visitai negli anni ‘80 con i miei genitori la penisola Calcidica, era riuscire a varcare i difficili confini del Monte Athos. Geograficamente è la penisola più orientale delle tre dita della Calcidica, che si sporge nel Mar Egeo per circa 60 km, alla quale si accede solo via mare per ragioni burocratiche e di controllo dei confini, ma anche per la particolare conformazione geografica.

Dichiarato Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO nel 1988 e considerato il cuore spirituale del cristianesimo ortodosso, il Monte Athos, ufficialmente Stato Monastico Autonomo del Monte Athos, fa formalmente parte della Grecia, ma dal punto di vista ecclesiastico ricade sotto la giurisdizione del Patriarcato Ortodosso di Costantinopoli. L’amministrazione del territorio è affidata a un collegio, la Sacra Comunità formata da 20 rappresentanti, uno per ciascun monastero, da un Governo quadrumviro e da un Primo Ministro chiamato Protos. La sede amministrativa si trova a Karyes, l’unico centro abitato, che conta poco più di 160 abitanti.

I primi monaci arrivarono sul Monte Athos durante il V secolo d.C., alla ricerca di un luogo appartato per adorare Dio e trovare la pace interiore sulla terra. Oggi vi risiede una grande comunità religiosa (solo i monaci della comunità possono stabilire la residenza nella penisola), costituita da circa 1500 monaci, che vivono prevalentemente in 20 monasteri dai quali dipendono molte altre realtà monastiche di dimensioni più ridotte: 12 skite (comunità di monaci singole sorte intorno a chiese) e circa 250 keliá (eremi isolati abitati da asceti che sopravvivono grazie ai prodotti della natura ed alle offerte degli altri monaci, con i quali condividono solo i luoghi di preghiera). 

I monasteri, eretti fra il X e il XIII secolo secondo lo stile bizantino, presentano l’aspetto di un forte difensivo con mura massicce, per proteggersi originariamente dalle incursione dei pirati e di altri conquistatori. Al centro della struttura monastica si trova un cortile, che comprende il katholiko (monastero cardinalizio), la trapeza (refettorio), la phiale”(il bacino per la benedizione delle acque) e le cappelle. Accanto alla chiesa centrale si trovano i campanili e le cupole.

La penisola, in greco ΑγιονΟρος, è considerata una montagna sacra in quanto, secondo alcune leggende apocrife, la Vergine Maria avrebbe visitato e benedetto questo luogo divenuto, quindi, il Giardino della Vergine ed a lei esclusivamente consacrato. Avaton è la restrizione di accesso alle altre donne (interdizione che si estende anche agli animali domestici di sesso femminile, esclusi gatti, insetti ed uccelli), la cui presenza renderebbe difficile il raccoglimento spirituale e la contemplazione religiosa dei monaci sulla penisola.

L’accesso è difficile anche  per gli uomini: attraverso una procedura molto rigorosa si ottiene un permesso di entrata, il diamonitirion, dimostrando di avere un interesse religioso oppure di carattere scientifico-culturale. Il numero dei permessi rilasciati è molto limitato, 110 al giorno: di questi solo dieci sono riservati agli stranieri di religione non ortodossa. La visita non può durare più di quattro giorni.

Ho impiegato alcuni mesi per organizzare il viaggio e, ottenuto il permesso, ho contattato i monasteri sperando di trovare un letto per pernottare in almeno uno dei bellissimi eremi a picco sul mare.

Sono stato ospitato dai monaci del monastero di Pantokratoros, fondato nel 1363 dai fratelli greci Alessandro e Giovanni che, a seguito ad una crisi mistica, abbandonarono l’esercito di Bisanzio per di dedicarsi alla vita monastica.

Ho potuto così condividere con i monaci alcuni dei particolari aspetti della loro vita, fatta di preghiera e di meditazione, immerso in un particolare clima di serenità e di quiete che amplificava tutte le mie sensazioni. Tutti i giorni mi svegliavo alle 4,30 del mattino per partecipare ad uno dei momenti più suggestivi e ricchi di spiritualità, le celebrazioni liturgiche ortodosse, e seduto in prima fila ascoltavo fino alle 8.30 le austere melodie dei monaci, in un buio solenne rischiarato solo da candele che si riflettevano sulle icone dorate. Verso le 6,30 un forte odore d’incenso, diffuso in tutta la chiesa ancora al buio, unito al fruscio delle lunghe vesti dei monaci, che si muovevano lentamente in un rito ripetitivo e fatto sempre degli stessi movimenti, contribuiva ad accentuare ulteriormente l’atmosfera di grande spiritualità in cui mi sentivo immerso. 

Con Padre Teofilo, mia guida durante la permanenza nel monastero, dialogavo durante i due pasti giornalieri (alle 9 e alle 19), subito dopo le preghiere e discutevamo della storia del Monte Athos, dei  problemi organizzativi, delle regole della vita monastica, delle prospettive future e, soprattutto, delle difficoltà con le quali si dovevano spesso misurare, come la pandemia di COVID 19 che ha messo a dura prova il loro sistema di vita. Ma il tema sul quale padre Teofilo insisteva di più era quello del grande pluralismo presente da sempre all’interno della comunità monastica, perché per lui, uomo di grande cultura e dotato di grande capacità di dialogo e confronto, rappresentava la vera ricchezza di questo posto magico ancora fermo a centinaia di anni fa.

Alla fine di questo mio soggiorno, l’impressione principale è stata quella di un luogo fuori dal tempo, un santuario di serenità e spiritualità, che produce un rigenerante effetto di estraniazione dalla vita frenetica e materialista nella quale solitamente siamo quotidianamente immersi. E credo che tutti quelli che scelgono di vivere in questa particolare realtà lo fanno per cambiare totalmente vita, uscire da una dimensione materiale per dedicarsi ad una vita completamente spirituale, dove la felicità è data da gesti semplici e da un rapporto privilegiato con la natura, maestosa e selvaggia, che da sempre fa percepire agli uomini l’infinito.

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