Il 28 aprile 2021 la Giunta del Comune di Roma ha approvato le linee di sviluppo di Agrifood, la Food Policy di Roma per i prossimi anni: un piano strategico dedicato al settore agroalimentare e redatto dall’Assessorato allo Sviluppo Economico, Turismo e Lavoro e dall’Assessorato all’Urbanistica di Roma Capitale in collaborazione con Camera di Commercio. Il Piano è stato presentato dopo circa un mese, con pubblicazione della delibera.

La notizia è da salutare con favore, per una serie di ragioni, che vado a sintetizzare.

In primo luogo, Roma è il più grande Comune agricolo d’Europa (circa metà dei 128.530 ettari di superficie cittadina, infatti, sono dedicati al settore primario. Si contano inoltre circa 2.654 aziende agricole, 15.806 occupati, 127 mercati rionali, 55 Gruppi di acquisto solidale e numerose esperienze di economia sociale e solidale). Di qui un piano strategico pubblico per governare il settore agroalimentare a livello locale era quanto mai necessario.

In secondo luogo, il piano contribuisce a concorrere al raggiungimento dell’obiettivo Fame Zero nel mondo, fissato dal World Food Programme entro il 2030. Perché i grandi obiettivi globali partono dal basso, dai cittadini e dalle città.

In terzo luogo, con la delibera appena approvata si mira a valorizzazione la filiera agroalimentare estesa e segnatamente la filiera corta, l’accesso alle risorse primarie per la produzione, il supporto a nuove imprese agricole, con particolare riguardo all’imprenditoria femminile e giovanile, la promozione delle specificità territoriali, il consolidamento dei sistemi di etichettatura territoriale e la sperimentazione della tracciabilità di filiera.

In quarto luogo, tra gli obiettivi ci sono anche la riduzione degli sprechi alimentari tramite iniziative di recupero e la redistribuzione delle eccedenze, nonché l’utilizzo del suolo votata allo sviluppo sostenibile, alla valorizzazione del paesaggio e delle forme di multifunzionalità quali l’agricoltura terapeutica e sociale, l’inserimento di soggetti fragili nelle attività di riferimento e gli agri-nido.

Infine, la Food Policy di Roma è importante non soltanto perché è stata approvata all’unanimità dall’assemblea capitolina, ma in quanto frutto di un lungo percorso dal basso, coordinato dal Consiglio del Cibo, un network di 50 associazioni, reti e realtà accademiche unitesi nel 2019 proprio con la proposta di dotare il Comune di Roma di un piano strategico per una politica alimentare.

Tutti obiettivi ambiziosi e nobili.
Ma come pensa di raggiungerli il Comune di Roma?

Si tratta di una pianificazione di interventi secondo obiettivi, fondata sulla partecipazione di tutti i principali operatori economici locali, nazionali e internazionali attivi in città, che nel perseguire una serie di obiettivi per migliorare la produzione agroalimentare locale secondo una visione di sostenibilità, mira anche a moltiplicare il valore aggiunto di un comparto che lo scorso anno ha raggiunto circa 546 milioni per un totale di 15.806 occupati.

L’Ufficio di Scopo Progettazione e Innovazione Economica Urbana ha costituito dei gruppi di lavoro con università, associazioni di categoria, enti di ricerca, operatori economici e partner tecnici, che si riuniranno in tavoli tematici di confronto, in vista di un town-meeting in modalità online, ai fini dell’elaborazione di un documento di sintesi dell’intera iniziativa, che sarà redatto entro luglio 2020.

I tavoli tematici, operativi già dal mese di maggio, stabiliscono le aree di intervento prioritarie per la definizione delle linee guida strategiche e la food policy di Roma.

I focus dei gruppi di lavoro

– mercato: individuazione dei principali driver del consumo alimentare (prezzo, qualità, potere nutrizionale);

– distintività: definizione degli elementi caratteristici della romanità in tavola;

– salvaguardia: sostegno alle filiere agricole tradizionali, al ricambio generazionale e supporto per la continuità e lo sviluppo della filiera corta;

cibo del futuro: nuove tecnologie di trasformazione dei prodotti alimentari, utilizzo delle proteine vegetali e conseguente rivisitazione delle specialità tradizionali di Roma.

In attesa di capire come si svilupperà la food policy in concreto, occorre rilevare alcuni aspetti positivi.

Innanzitutto, come abbiamo detto più volte da queste parti, il settore agro-alimentare è speciale: non può essere lasciato solo alle dinamiche del mercato e alla relazione tra consumatori e produttori, ma ha bisogno di regole, di interventi pubblici, di incentivi e divieti, quindi anche di una pianificazione, che individui obiettivi, priorità, interessi prevalenti e le relative strategie per consentire agli attori coinvolti di raggiungere i risultati prefissati.

Inoltre si tratta di una misura regolatoria fortemente partecipata, condivisa con le associazioni del settore e da queste discussa, elaborata e finalizzata in accordo con il Comune. Non solo nella fase iniziale, di impulso, proveniente dalla società civile, ma anche in quella esecutiva, per la sua attuazione, fondata su tavoli tematici e gruppi di lavoro estesi ad associazioni, stakeholder ed esperti del mondo accademico. Si tratta quindi di un bell’esempio di democrazia partecipativa, che coinvolge i cittadini e le associazioni nella gestione della cosa pubblica.

Infine, Roma, rispetto ad altre città, come ad esempio Milano, era ancora indietro su questi temi, non avendo una food policy all’avanguardia. Ora, finalmente, ce l’ha. E questo l’avvicina al modello di Smart City, che, tra le altre cose, si basa su un cibo che sia salutare, equo e sostenibile.

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