In queste ultime settimane si fa un gran parlare di agricoltura biodinamica e metodo scientifico (rimandiamo qui e qui per seguire parte della disputa).

Promettendo di ritornare sulla questione della scienza, vorrei soffermarmi un attimo su questo disegno di legge che alcuni hanno ritenuto scandaloso perché, tra le altre cose, prevede contributi economici anche a favore dell’agricoltura biodinamica, che si basa su un metodo agricolo non adeguatamente scientifico e quindi, secondo alcuni, non meritevole del sostegno pubblico.

Ebbene, in primo luogo il disegno di legge n. 988, recentemente approvato al senato e in attesa di conferma alla Camera, è una disciplina ampia e generale che finalmente detta alcune regole importanti per l’agricoltura biologica e a ridotto impatto ambientale. Il testo disciplina (art. 1):

a) il sistema delle autorità nazionali e locali e degli organismi competenti;

b) i distretti biologici e l’organizzazione della produzione e del mercato, compresa l’aggregazione tra i produttori e gli altri soggetti della filiera;

c) le azioni per la salvaguardia, la promozione e lo sviluppo della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico, compresa la semplificazione amministrativa, e i mezzi finanziari per il sostegno alla ricerca e alle iniziative per lo sviluppo della produzione biologica, la realizzazione di campagne di informazione e di comunicazione istituzionale, nonché la promozione dell’utilizzo di prodotti ottenuti con il metodo biologico da parte degli enti pubblici e delle istituzioni;

d) l’uso di un marchio nazionale che contraddistingua i prodotti ottenuti con il metodo biologico, realizzati con materie prime coltivate o allevate in Italia.

Già questi primi punti raccontano molto: ci sono norme che riguardano le autorità pubbliche, nazionali e locali, e le loro competenze; c’è un’organizzazione della produzione con regole sui cosiddetti distretti biologici; ci sono varie disposizioni per tutelare, promuovere e far conoscere un settore che, al di là di come la si pensi, costituisce un’eccellenza italiana, visto che siamo i primi produttori di cibi bio e li esportiamo in tutto il mondo; c’è, infine, una disciplina sul marchio nazionale, che aiuterebbe a promuovere il made in Italy e quindi l’economia italiana di questo settore di importanza strategica. Insomma, non proprio una banalità.

Una legge chiave, che finalmente disciplina un settore sin qui poco regolato; che segue una filosofia lungimirante, perché mira a ridurre l’impatto inquinante del modello agricolo attuale che, tra le altre cose, contribuisce per il 25% al surriscaldamento climatico; che punta forte su un settore strategico sotto il profilo economico e della crescita del Paese; e che, infine, risulta coerente con l’approccio previsto dalle iniziative più recenti dell’Unione europea in ambito ambientale e agro-alimentare: Green New Deal; Nuova Pac; Biodiversità e Farm to Fork.

I vari articoli del disegno di legge in esame prevedono una serie di misure (un marchio, un tavolo tecnico presso il Ministero delle politiche agricole, una pianificazione annuale, incentivi economici e altre attività si supporto) per favorire la transizione ecologica – di cui tutti parlano ma che in pochi portano veramente avanti – nel settore dell’agricoltura, spingendo i produttori ad abbandonare o ridurre il metodo tradizionale-integrato (basato sulla chimica di sintesi, che contribuisce in modo pesante all’inquinamento e sin qui sovvenzionato dallo Stato tanto quanto, se non di più, di quanto lo sarebbe l’agricoltura biologica), a favore di un modello più sostenibile.

E allora qual è la pietra dello scandalo?

Apparentemente è aver equiparato l’agricoltura biodinamica a quella biologica, consentendo quindi anche alla prima, che si basa su tradizioni più folcloristiche che scientifiche, di ricevere finanziamenti statali. In realtà è bene dire che la biodinamica è finanziata solo se, e in quanto, dotata di una certificazione di agricoltura biologica (e diverse aziende biodinamiche non ce l’hanno). Quindi in pochissimi casi. Un’inezia. Qui inoltre un documento sulle basi scientifiche della biodinamica.

Ora, premesso che finché un’agricoltura basata sulla scienza e sulle più recenti conquiste tecnologiche, ma che inquina il pianeta, standardizza i cibi, pone a rischio la salute dei consumatori e relega ai margini i piccoli produttori, riceve finanziamenti pubblici, non mi sembra un grande scandalo che altrettante forme di sostegno siano devolute anche a metodi alternativi ancorché poco scientifici. Anzi, trovo molto più discutibile la prima forma di finanziamento che la seconda.

Ma questa è solo la mia opinione. A ragionar male si fa peccato ma ci si prende, perché questa levata di scudi da parte della scienza ufficiale non sembra veramente riferita agli stregoni della biodinamica, che peraltro sono pochi e poco influenti, ma sembra voler avversare un inaspettato riequilibrio delle forze in campo che finalmente affida un peso maggiore all’agricoltura biologica rispetto a quella tradizionale-integrata e industriale. Ed è sempre opportuno chiedersi come mai l’establishment della scienza attuale si irrigidisce subito ogni volta che si prova a limitare, ridurre, regolare la produzione alimentare industriale (OGM, ormoni e antibiotici negli allevamenti, pesticidi, ecc: in questi casi gli esperti insorgono sempre con l’accusa di anti-scientismo).

Il diritto che impedisce le prevaricazioni

E tutto diventa una difesa del metodo scientifico. Questo perché gli scienziati duri (appartenenti alle cosiddette hard-science, come chimica, biologia, matematica, fisica, ecc.) hanno qualche difficoltà a comprendere e accettare altri approcci scientifici, su tutti quello di una scienza, soft, anzi sociale, ma fondamentale: il diritto. Il diritto, tra le tante cose, serve a impedire che il forte prevarichi sul debole, che chi è uguale venga trattato in modo uguale e chi è diverso sia trattato in modo diverso. Serve a proteggere le libertà, anche dalle libertà di altri.

Quindi il diritto e la regolazione pubblica (che mette divieti, opera controlli, irroga sanzioni e dispone incentivi o aiuti economici) serve a proteggere il consumatore contro gli abusi del produttore, a riequilibrare la sproporzione tra piccolo produttore e grande industria, serve a difendere l’ambiente contro chi lo inquina e a impedire che chi ha una posizione di forza la sfrutti in modo indebito.

Ecco perché abbiamo bisogno di leggi come quella in discussione in Parlamento ed ecco perché gli esperti – siano sempre lodati, sostenuti e ascoltati – sono sì importanti e utili ma non posso ridurre tutto ai risultati scientifici. E nemmeno trasformare un dibattito politico in una presunta crociata antiscientifica: qua non ci sono no-vax o terrapiattisti, qua ci sono opinioni diverse sul modo di fare agricoltura. E in tutto ciò, mentre si deve incentivare e sostenere la ricerca scientifica (tutta), la politica deve operare le sue scelte democratiche e strategiche. Giacché la politica può e deve seguire varie motivazioni e valutazioni, con uno sguardo ampio, che tenga conto dei risultati scientifici ma li bilanci anche con gli interessi della collettività.

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