Una dietro l’altra, a scorrere velocissime. Una pagina di storia che si apre e l’altra che si chiude per aprirne, a sua volta, un’altra ancora. Dalle elezioni americane sono passate solo poche settimane, eppure il tumulto – contrapposto ad un senso di liberazione – è ancora preponderante.
L’attacco terroristico (perché quello è stato) a Capitol Hill il giorno della proclamazione al Congresso di Joe Biden come nuovo Presidente. La serrata dei social verso il riottoso e facinoroso presidente uscente, Donald J. Trump. Il secondo Impeachment a lui rivolto. Addirittura la città di New York, che intende tagliare i contratti con la Trump Organization, definendo la rivolta del Campidoglio come un Abominio Nazionale. Proprio quella città che, negli Anni Ottanta, ha fatto da trampolino all’ascesa economica del tycoon. Basti pensare alla Trump Tower sulla Fifth Avenue finita di costruire nel 1983. O alla Wollman Rink, ovvero la pista di ghiaccio di Central Park restaurata nel 1986 dallo stesso Trump, a mo’ di ripicca, verso l’allora sindaco Ed Koch che non voleva detrarre un solo dollaro dai costi di realizzazione, appunto, della Trump World Tower.

Ciò che conta di più, però, è che i quattro anni di presidenza di The Donald sono terminati con una sacrosanta e legittima sconfitta alle urne e, parallelamente, con un’onta di vergogna pompata tanto dai Democratici quanto dai Repubblicani, stufi dei capricci, dei vizi e dell’umore di quello che è stato il peggior #POTUS, giusto per citare Twitter. Un presidente tanto pericoloso da essere definito come una concreta minaccia alla democrazia. E allora, adesso che possiamo tirare un sospiro di sollievo, è il caso di addentrarci nella psiche di Trump, per capire meglio il suo meccanismo d’attacco e di difesa e la sua visione sociale, culturale e politica totalmente priva d’empatia e di grazia. E infatti molti sono i documentari che ne raccontano la storia, ma uno merita, sicuramente, l’attenzione: #Unfit – La Psicologia di Donald Trump.

Uscito poco prima dell’Election Day di Novembre (in Italia lo trovate in digital su Rakuten grazie a Wanted), il documentario diretto e prodotto da Dan Partland ci porta direttamente dentro la mente di colui che ha tenuto sotto scacco il mondo per quattro anni. Lunghi e oscuri. E, come nei più classici documentari, il racconto si fa reportage diretto, andando ad illuminare le ombre, le incongruenze e le crasi di un assurdo quanto rivoluzionario abbaglio del percorso storico-democratico degli Stati Uniti d’America. E il bravo Partland, dunque, ci porta subito a Washington, in quel famoso 20 gennaio 2017, quando Trump giurò sulla Bibbia davanti ad una platea decisamente scarna affermando che “Ora è il momento di agire”. I media ripresero le foto aeree, e da lì subito il confronto con la fiumara di persone del 2008, quando al posto di Trump c’era Obama. Quello, per il tycoon, fu un affronto arrivato nel primo giorno del suo mandato. Allora, subito ad inseguire e minacciare la copertura mediatica, contrattaccando con il fatto che “no, assolutamente, il giuramento di Trump è stato quello con la più alta partecipazione popolare”. Una fake news, ovviamente.

Ma è solo quando ascoltiamo gli intervistati che #Unfit diventa – a tratti – spaventoso. John Gartner, psicologo e psicoterapeuta, definisce Trump un “narcisista malvagio, che non contempla l’empatia”. Una definizione che fa rabbrividire se pensiamo che è una patologia riconosciuta e che comprende paranoia, narcisismo e sociopatia. Insomma, caratteristiche che non si addicono certo all’uomo più potente del mondo. Anche un altro psicanalista, Justin Frank, racconta di un Trump spudoratamente sadico, razzista e misogino che ha fatto della menzogna la chiave di volta sia durante la campagna elettorale sia durante il suo incarico. Pensare che le bugie le utilizza anche sul suo amato campo da golf. Sapevate che molti trofei li ha vinti perché era l’unico a concorrere? Ecco.

Ma il vero terrore arriva dalle parole delle storiche Cheryl Koos e Ruth Ben-Ghiat, che tracciano un inquietante confronto: nelle parole, nei gesti e negli atteggiamenti politici di Trump c’è un richiamo alla tecnica della menzogna adottata dai regimi nazisti e fascisti. I suoi discorsi, nello specifico, adottano la Regola del Tre: ripetere tre volte le cose, per auto-convincersi e convincere il popolo. Proprio come facevano Hitler e Mussolini.

Un parallelo agghiacciante ma, in qualche modo, rassicurante. E vi spieghiamo brevemente il perché: nessun pazzo si è mai seduto dalla parte giusta della storia. E grazie alla libertà e alla democrazia, anche Trump è stato etichettato per quello che è: an unfit. Un inadatto.

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