No, forse non è un’opera letteraria questa di Alessia Figini, non si può di certo gridare al capolavoro, credo non sia neanche una riscrittura dell’immaginario: limiti, forse, ma anche virtù di questo libro che riesce, con uno stream of consciousness capace di trasformare le parole in emozioni che bussano con forza alla porta del dolore, a riscrivere, piuttosto, proprio il reale.

Lo stesso dolore che sconvolge il quotidiano di Daniele, il protagonista, uno come tanti, uno come noi, sospeso tra un’adolescenza trascorsa ad inseguire Sara, l’amore della vita, ed un’età da giovane adulto sconvolta dalla perdita di quell’amore finalmente conquistato che porta in sé altra vita e altra gioia condivisa, stravolta da una tragedia troppo grande e un dolore così tagliente, da portare a volgere gli occhi altrove per non vedere le ferite che la lama infligge, senza pietà.

Un dolore che fa male già quando per caso ci sfiora, increduli all’idea che possa accadere anche a noi.

Tra ninne nanne e Piccoli Principi i cui sonni e voli, sogni e futuro vengono negati, dentro un amore perduto, così perfetto da sembrare finto, un uomo cerca il senso di due vite recise, perdendo la propria dentro la vertigine dell’angoscia e cercando vendetta: perché quando il dolore è troppo forte, restiamo in vita solo per vedere dentro il buio e cercare un senso nella fine, nella rabbia, nel rifiuto.

Attraverso personaggi talora stereotipati, la parola riesce a superare la banalità del male subito, lo stridore delle lamiere contorte nella nebbia e diventare un urlo di Munch, il cui eco arriva sino a toccare le corde più profonde della nostra anima, a giustificare la voglia di morte per rispondere alla morte subita che ha sconvolto ogni residuo di senso, ad annegare nell’alcool bevuto dal vuoto a perdere della dannazione, vuoto che tiene a galla dentro uno strano ossimoro stridente, per sopportare ciò che sopportabile non è, per ritrovare nell’oscurità ciò che per sempre ci viene negato, per intravedere nei fumi dell’oblio il sorriso radioso di chi è andato via, dentro un sonno senza risveglio.

Eppure, come un novello Cristo in croce, ad ogni uomo è data la possibilità di risorgere: Alessia Figini, nel suo La luce all’improvviso (2021, Morellini editore), ce lo racconta con la naturalezza di chi crede che alla vita non possiamo non aggrapparci, e che una seconda possibilità ci è sempre data: saperla riconoscere ci impedisce di diventare noi stessi baratro e ritrovare, negli occhi ingenui e profondi di chi troppo presto sfiora la morte e la rifugge con forza, il senso perduto. E persino di perdonare.

Da leggere tutto d’un fiato, dentro una notte piovosa e triste, per ritrovare, al chiarore dell’alba, la luce. All’improvviso.

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