Rabbia, collera, ira spesso sono considerati sintomi di un disturbo e, senza dubbio, molto spesso lo sono. Oggi però non ci focalizzeremo sulle quote patologiche degli attacchi di rabbia, ma sulla funzione etica di questa reazione dirompente.

Sgombrato il campo dai disturbi bipolari e borderline e dal cosiddetto disturbo esplosivo intermittente (IED, Intermittent Explosive Disorder), disturbo del comportamento caratterizzato da esplosioni incontrollabili d’ira, non commisurate alla situazione, classificato nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) sotto la categoria “disturbi dirompenti del controllo degli impulsi e della condotta”, ci troviamo a tu per tu con una emozione che, in quanto tale, non è mai “sbagliata“.

La rabbia è certamente un’emozione “negativa”, nel senso che non ci procura mai sensazioni di benessere (solo nello IED si contempla sollievo da scarico e, a volte, anche piacere) e anzi ci catapulta in uno stato psichico e fisico alterato. A livello fisico, la rabbia provoca sudorazione, tremore, balbuzie, senso di oppressione al torace, spasmi, palpitazioni, tachicardia, aumento della pressione, raucedine da urla, mal di testa, gastrite, accelerazione peristaltica, e può essere pericolosa, anche mortale (vedi qui). A livello psichico, si precipita in uno stato confusionale in cui saltano i freni inibitori che normalmente permettono la modulazione del comportamento.

Ma ogni volta che le emozioni intense vengono trattate come sintomi, concentrandosi quindi sulla “responsabilità” della persona che le vive, le prova e le esprime (leggi qui), passa in secondo piano la causa esterna che le scatena. Nonostante consapevolezza e responsabilità, infatti, siano l’attrezzatura più preziosa che un essere umano può vantare in dotazione, vera bacchetta magica per affrontare la vita da “vincenti” (nel nobile senso dell’Io non perdo mai: o vinco o imparo, frase attribuita a Nelson Mandela), è anche vero che la focalizzazione solo sulla causa interna di una emozione può raccontare un falso o una verità solamente parziale.

Mentre, infatti, in un essere umano non disturbato e mediamente sano, il modo di reagire agli stimoli risponde al libero arbitrio, e quindi la rabbia può non essere l’unica risposta possibile ad una provocazione, è anche vero che se l’intenzione del provocatore è aggressiva (compresa l’aggressività passiva), o la situazione è distruttiva, lesiva, una reazione d’ira può contenere in sè non solo una funzione protettiva ma anche un valore etico.

Oggi, insolitamente, me la prendo un poco con la psicologia che, per sua stessa natura, come dicevo, tende a proporre alla persona che prova rabbia un percorso di presa in carico delle cause interne che motivano quel tipo di reazione agli stimoli e proprio quella emozione, invece di altre. E’ molto pericoloso questo passaggio, soprattutto se la rabbia è la risposta emotiva a una violenza subita o a un’ingiustizia. In tal caso, infatti, stiamo vivendo ed esprimendo un’emozione, sviluppando un comportamento, non solo funzionale al nostro equilibrio psicofisico, ma anche compiendo un’azione (interna ed esterna) che sviluppa valore.

E’ molto importante, quindi, distinguere se la rabbia è una risposta caratteriale o coatta, quindi con una eziologia “biografica”, che non dipende più di tanto dallo stimolo che la scatena, oppure se invece la sua eziologia risiede nel principio di realtà. In questo secondo caso, abbiamo a che fare con una grande risorsa, un’emozione potente e dotata di grande energia, in grado di mobilitare risorse psicologiche positive tra cui la correzione di comportamenti sbagliati, la promozione di una giustizia sociale, di valori umanitari, e così via.

Ed ecco perchè vi consiglio di rileggere l’Iliade, possibilmente con la traduzione di Filippo Maria Pontani, in particolare la narrazione dell’ira di Achille, un esempio di collera ostinata. In questo straordinario passaggio troverete rappresentato in modo indicibilmente poetico che cosa sia il senso di giustizia: Achille capisce che il destino ed Atena hanno voluto la sconfitta di Eumelo, ma non lascia che questo sia di ostacolo al suo personale senso di giustizia. Ciò significa che l’essere umano non è fatalmente tenuto ad accettare quello che accade, poiché non sempre “ciò che è reale” è anche “giusto”: se ne ha la possibilità deve seguire il proprio senso di giustizia e provvedere a correggere ciò che non gli sembra giusto. Ed è proprio ciò che Achille fa, sia quando ne subisce lui stesso i danni sia quando è un altro ad essere colpito.

E’ ovvio che siamo sul filo del funambolo, visto che, se il senso di giustizia diventa personalizzabile, entriamo in area di grande pericolo, e allora ‘na caciara: tutti contro tutti per affermare il proprio punto di vista.

Per fortuna, oggi, a differenza dei tempi omerici, esistono carte e trattati universali, come ad esempio la Dichiarazione universale dei diritti umani, che possono aiutarci ad indirizzare la nostra rabbia e il nostro senso di giustizia secondo modelli valoriali, costruttivi, creativi, condivisi. Per questo, dedico questa riflessione ai Fridays For Future, ragazzi e ragazze che combattono per azzerare le emissioni da combustibili fossili, e a tutt* coloro che spendono la loro rabbia come carburante contro le ingiustizie e a difesa dei diritti di tutt*, esseri viventi, senzienti e non.

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