Uno spettacolo al telefono, pensato lontano dal lockdown, ma che durante il lockdown ha ricreato un nuovo modo di scambiare intimità, su un piano interattivo, grazie alla fantasia costante esercitata dalla compagnia Cuocolo Bosetti, che incontriamo:
Il nostro magazine si occupa di riscrittura, tema per voi fondamentale, riscrittura delle identità, crollo delle facili certezze, ansietà della percezione, fallimenti della memoria sembrano essere materia prima della vostra compagnia, parafrasando una frase del vostro testo: … C’è qualcosa di cui vorresti parlarmi?
Parliamo sempre di quello che ci succede. Non perché la nostra vita sia così speciale ma proprio perché assomiglia a quella di tutti. Partiamo da un piccolo fatto, un azione quotidiana, dormire in un hotel, prendere la metropolitana, visitare una pinacoteca. Cose che tutti abbiamo fatto. Ma proviamo a farle come fosse la prima volta. Guardarle con un attenzione diversa che faccia emergere da quelle situazioni la memoria, il genius loci, i valori e il senso rimosso, che le illumini attraverso l’incontro con lo spettatore.
Attore e spettatore: chi ha recitato in questa situazione?
Difficile da dire forse entrambi forse nessuno dei due. Al centro della nostra riflessione c’è il rapporto con lo spettatore. Un teatro in cui l’aspetto partecipativo, interattivo viene esaltato. Dove lo spettatore/ospite è libero di muoversi, di esplorare lo spazio, di adottare vari punti di vista: è privo, insomma, del “posto assegnato”. Un teatro dove gli spettatori diventano partecipi dell’opera: si pongano in rapporto reciproco generando tra loro relazioni fisiche di prossimità, o in questo caso di distanziamento, animando il lavoro da molteplici angolature. Nei nostri lavori non c’è mai niente di forzato, lo spettatore non è obbligato a fare niente, c’è uno spazio di libertà che ogni spettatore può decidere come utilizzare. Per esempio in Theatre on a Line lo spettatore può raccontare di sé oppure ascoltare cosa abbiamo noi da dargli, o fare come nella realtà entrambe le cose.
Case, hotel, gallerie d’arte, betulle tra le mura e teatri dove vivere: riscrivere gli spazi teatrali oggi, prima e dopo il Covid…
L’emergenza creata dal Covid non ha minimamente cambiato il nostro modo di lavorare. Ha semplicemente messo al centro, sotto gli occhi di tutti, la possibilità di pratiche differenti all’interno del discorso teatrale. Esiste uno spazio privilegiato ma non è un edificio. E’ uno spazio legato alla drammaturgia di quello che stiamo costruendo. E’ legato e nasce dall’idea che stiamo sviluppando. Può essere persino un teatro se questo è richiesto dal progetto. Ma deve essere una casa se affronta il tema della domesticità, od un hotel se tratta di transitorietà e di un telefono, di una linea telefonica, se affronta come in Theatre On A Line, l‘intimità tra sconosciuti.
Lasciare che vita e teatro si sovrappongano per creare una esperienza più forte per lo spettatore/ospite. Uscire dalle abitudini. Sapere farsi le domande e cercare le risposte. Il Teatro è uno spazio di libertà enorme che ci offre la possibilità di fare della nostra vita una splendida avventura. Bisogna uscire dagli schemi. Diventare visionari. Non avere paura. Il teatro è molto generoso se si riesce ad andare oltre al narcisismo e alla pretesa di parlare da un palco.
Avete parlato anche di teatro come macchina del tempo, ci raccontereste meglio sotto che aspetto?
Il teatro è una macchina del tempo: estrae il tempo dalla percezione ordinaria per rivelarne quell’essenza vitale che ha molto a che fare con la nostra coscienza dinamica. Il teatro è uno spazio mentale. Porta fuori ciò che è dentro. Lo rende pubblico ancor più che nello spazio nel tempo.
Vostra la necessità di diventare visionari di ciò che c’è… cosa non vediamo di fondamentale in questo spazio tempo di affannosa contemporaneità che sembra voler togliere spazio ad ogni re-invenzione?
Non c’è bisogno di inventare cose nuove, ma guardare le cose vecchie con occhi nuovi. L’invenzione non è e non può essere solo esterna, la creazione di un nuovo modello, ma deve coinvolgere in primis noi stessi. Bisogna rinventarsi. Cambiare identità, continenti, lavori e la natura del nostro lavoro. Un teatro ecologico, che usi l’esistente e si prenda cura del mondo che ha intorno, redenzione del disastro attraverso il moto affettivo del mettere in forma…
Dove state lavorando adesso? Quali visioni in via di costruzione?
Stiamo finendo ora le repliche (circa quattrocento) di Theatre on a Line. Siamo stati per tre mesi chiusi nella nostra casa/laboratorio di Vercelli per cui abbiamo creato una serie di lavori che presenteremo li nei prossimi mesi. Il progetto principale sarà il prossimo anno Exhibition, uno spettacolo per le grandi pinacoteche in giro per l’Europa. Si interroga sulla natura effimera e profonda dell’esibizione dell’arte.
Porta all’interno delle istituzioni museali una mostra d’arte, un’Exhibition appunto, costruita attorno all’assenza dell’opera. Se l’artista è presente le opere sono irrimediabilmente assenti. Non ci sono proprio. Quello che rimane è la loro memoria. Il ricordo dell’impressione che hanno destato e lasciato in noi.
Exhibition è una mostra che non è mai stata allestita ma solo immaginata, resa quasi “visibile” allo spettatore attraverso le parole e azioni della performer.
Una mostra orale.