(English translation below)
Il 26 aprile esplose il reattore e si sprigionarono almeno cento volte più radiazioni che le bombe atomiche in Giappone e anche in Italia smettemmo per un pezzo di mangiare insalata.

Era il lontano 1986, ma Chernobyl e il rischio nucleare sono tornati vicinissimi e quei luoghi – la centrale che pure ha ripreso a produrre, e a due chilometri la città di Pripyat – sono restati il punto invalicabile del viaggio, il limite estremo della Zona di Esclusione, il divieto assoluto di un passo oltre.

A rovescio, in quella prigione atomica inaccessibile, si raccoglie uno dei segreti del viaggio estremo. Chi è riuscito entrare in questa terra proibita ne ha riportato un racconto da oltretomba: sono le fotografie, con poche parole, del libro di Chernobyl’s Atomic Legacy, curato da Daniel Barter ed edito da Jonglez. 

È un catalogo fotografico dell’abbandono, un ritratto del mondo abbandonato e spettrale, silenzioso e post-apocalittico che verrà laddove la bomba scoppiasse. Non un’anima, non una presenza umana, solo interni di case sventrate, l’iconica ruota che non ebbe il tempo di essere inaugurata nel Luna Park, una vita di oggetti quotidiani interrotti senza un senso compiuto, le effigi comuniste ormai prive di qualsiasi potenza; un letto, un materasso, un lenzuolo, rattrappiti dal tempo; libri, medicine, giocattoli; un magazzino di maschere antigas inutili; i vagoni ferroviari e le locomotive, reperti post-industriali di un movimento finito. 

Tutto si fermò, tranne i cani, che lasciati chiusi nella Zona per il grado di alta contaminazione del loro pelo, girarono vagabondi e sfiniti, riducendosi a cadaveri mummificati per uno strano effetto delle radiazioni.

Libri di rovine ve ne sono tanti, visioni di ruderi e di catastrofi anche, ma questo è raro, nessuno ha mai potuto mettere ordine in questa Pompei dell’era nucleare, e Pripyat e i villaggi circostanti per un raggio di quasi trenta chilometri sono restati intatti in una devastazione cristallizzata.

Pochissimi pellegrini hanno compiuto questo viaggio vietato, e le fotografie del libro di Jonglez sono il ritratto di una fine possibile della vicenda umana. Non un film di fantascienza, ma un servizio fotografico di un angolo d’Europa, reale e anche attuale.

Ma come è potuto accadere tutto ciò, si chiede sgomento l’osservatore-viaggiatore di queste fotografie? Lo racconta in un altro libro, Dentro Cernobyl (La Meridiana) di Grigori Medvedev. Ingegnere nella centrale, tra i pochi che restarono per tamponare le falle della perdita atomica, Medvedev racconta, senza mai indugiare in una drammaticità di maniera, ma con una narrazione da brivido, cosa accadde in quei giorni convulsi, folli, di errori e di eroismi immani.

Un libro che tutti dovrebbero leggere perché è un’alfa e omega della nostra civiltà distrutta. Quello che è restato è il resoconto fotografico curato da Barter: l’illustrazione di un viaggio vietato, in una destinazione che non deve costituire il nostro destino, ma, e qui torna Medvedev, può esserlo. 

ENGLISH VERSION

Journey to Chernobyl: two books on what happened and what remained

Chernobyl is the Pompeii of the nuclear age, marked by crystallized devastation. Here are the spooky images and a creepy narrative to make this forbidden journey.

On April 26 reactor number 4 exploded and released at least a hundred times more radiation than the atomic bombs in Japan. In Italy too we stopped eating salad for a long time.

That happened in distant 1986, but Chernobyl and the nuclear risk have come back very close and those places – the power plant which has resumed production, and the nearby (two kilometers away) city of Pripyat – have remained the insurmountable point of any journey, the extreme limit of the Exclusion, the absolute prohibition of the possibility of one step further.

On the other hand, in that inaccessible atomic prison, one of the secrets of the extreme journey is collected. Those who managed to enter this forbidden land reported a story from beyond the grave: these are the photographs, with very few words, from the book Chernobyl’s Atomic Legacy, edited by Daniel Barter and published by Jonglez.

It is a photographic catalog of abandonment, a portrait of a ghostly silent and post-apocalyptic world that will come where the bomb explodes. Not a soul, not a human presence, only interiors of gutted houses, the iconic wheel that did not have time to be inaugurated in the Luna Park, a life of everyday objects interrupted without a complete meaning, the communist effigies now devoid of any power; a bed, a mattress, a sheet, shrunken by time; books, medicines, toys; a warehouse of useless gas-masks; railway wagons and locomotives, post-industrial relics of an interrupted movement.

Everything stopped, except the dogs, which, left closed in the Zone due to the high degree of contamination of their fur, wandered around exhausted, reducing themselves to mummified corpses because of the effect of radiation.

There are many books on visions of ruins and even catastrophes, but this is a rare one since it has not been possible to re-establish any order in this Pompeii of the nuclear age: Pripyat has remained intact in crystallized devastation. Very few pilgrims have made this forbidden journey, and the photographs in Jonglez’s book are the portrait of a possible end to human life. Not a science fiction film, but a photoshoot of a corner of Europe, real and also current.

But how did all this happen, the observer-traveler of these photographs wonders in dismay? He tells it in another book, Midnight Chernobyl by Grigori Medvedev. Engineer in the power plant, among the peaks that remained to “plug the leaks” of the atomic loss, Medvedev tells, without ever lingering in a dramatic manner, but with a thrilling narration, what happened in those convulsive, crazy days, of errors and of immense heroism.

This is a book that everyone should read because it is the alpha and omega of our destroyed civilization. What has remained out of it is the photographic report edited by Barter: the illustration of a forbidden journey, to a destination that should not be our destiny, but, and here Medvedev returns, it can be.

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