Per decenni, la storia di Violet Gibson è stata quasi sconosciuta sia in Irlanda che in Italia. Ma chi era veramente? La donna nacque da una buona famiglia anglo-irlandese (il padre Edward era Lord Cancelliere d’Irlanda e primo barone Ashbourne), ma ebbe una vita confusa e sfaccendata.

Per placare un poco le sue stravaganze, i genitori la mandano con la cameriera a visitare l’Italia e la Svizzera. Nel 1916, fece un ritiro spirituale e di mortificazione in un convento di gesuiti e, finita la prima guerra mondiale, tornò in Svizzera dove seguì i seminari di Rudolf Steiner, noto filosofo massone, cosa che le fece guadagnare una segnalazione a Scotland Yard.

Sette anni dopo, a Londra dove era tornata, tentò di accoltellare per strada la cameriera e poco dopo tentò di uccidere un paziente in un ospedale. Venne così ricoverata per sei mesi con una diagnosi di mania omicida; una volta dimessa andò a vivere in un convento di Roma, dove passò le giornate a giocare a picchetto con la nuova cameriera, mentre nel 1925 cercò di uccidersi nel tentativo di «morire per la gloria di Dio».

Insomma, Violet era una donna travagliata e instabile che si attaccava tenacemente a battaglie controcorrente. Ebbe anche il coraggio di compiere un atto estremo che avrebbe potuto cambiare il corso della storia, ma che invece cambiò solamente la sua vita.

Il 7 aprile 1926 la piccola signora dimessa, dai capelli grigi, sparò a Mussolini, questi aveva appena tenuto un discorso sui progressi della medicina alla conferenza internazionale di chirurgia e stava rientrando in Campidoglio a bordo della sua automobile decappottabile.

Il caso volle che il primo ministro si voltasse, attirato da alcuni studenti che stavano intonando Giovinezza,  quindi la pallottola si limitò a sfiorargli il naso. Violet Gibson provo a sparare di nuovo, ma la pistola si inceppò impedendole di proseguire. Verrà così arrestata con l’accusa di far parte di un complotto internazionale, cosa non vera.

Dall’esame psichiatrico, che comprendeva due visite ginecologiche, risultò essere sterile, il che andò a sostegno della certificazione di pazzia appena emessa (e l’aggressione contro una guardia a colpi di vaso da notte confermò la diagnosi).
Nel 1927, i parenti ottennero da Mussolini di poterla riportare in patria. Venne ricoverata, in tutta segretezza, all’Ospedale St. Andrew per le malattie mentali da dove non uscirà più.

Violet Gibson tentò un’altra volta di suicidarsi, passò poi il resto del tempo a nutrire i passerotti del parco e a scrivere lunghe lettere a ministri e principi della famiglia reale, nelle quali tracciava piani grandiosi per migliorare la condizione dei sudditi. Mai spedite, le lettere sono tutt’ora conservate negli archivi del St. Andrew.

Violet Gibson pagò lo scotto di vivere in un mondo che non le consentì di trovare una propria strada, costantemente pressata da restrizioni vittoriane e regole sociali che mal vedevano la sua irrequietezza – anomala per il genere femminile. La malattia mentale venne ingigantita e per questo passò la vita rinchiusa, parzialmente sedata, dimenticata dal mondo.

Solo ora la sua storia è stata rispolverata (si veda il libro di Frances Stonor Saunder e il documentario della rete RTE’). Nel 2022 il governo irlandese ha fatto apporre una targa commemorativa sul palazzo in cui la donna era cresciuta. Violet Gibson, antifascista.

Targa in memoria di Violet Gibson

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