Pubblicato di recente dalle edizioni Kappabit Re:Humanism 2 – Re:define the Boundaries, è un libro a cura di Daniela Cotimbo che ha lo scopo di approfondire le implicazioni sociali, politiche ed estetiche in relazione ai sistemi di intelligenza artificiale, riunendo in un unico volume il catalogo dell’omonima mostra tenutasi presso il Museo MAXXI di Roma nel 2021 e una serie di saggi teorici che indagano questioni centrali nel rapporto tra arte contemporanea e intelligenza artificiale. L’approccio adottato per il volume mira a offrire uno sguardo complessivo, unendo la riflessione teorica degli studiosi alle opere degli artisti.

Le opere presentate nel libro sono le finaliste della seconda edizione del Re:Humanism Art Prize, che si concentrava sull’indagine delle trasformazioni dei concetti di corpo e identità nell’era dell’intelligenza artificiale, sulle implicazioni personali e politiche di questi cambiamenti e sulle nuove modalità di produzione della conoscenza, attraverso un approccio antropologico all’intelligenza artificiale.

In questo senso l’idea che ispira il volume Re:Humanism 2 – Re:define the Boundaries rientra nel paradigma dell’Umanesimo Digitale, che mira a integrare le conoscenze umanistiche e tecnologiche per la creazione di un mondo sostenibile e rispettoso dei diritti umani.

L’opera che apre il volume, Beneath the Neural Waves 2.0 di Entangled Others, ha sfruttato il deep learning per estrapolare pattern ricorrenti nella barriera corallina e trasformarli in modelli tridimensionali che uniscono oggetto fisico ed estensione digitale. La barriera corallina è stata scelta come modello per immaginare nuove forme di relazione, in quanto esempio di un ecosistema in cui tutte le creature cooperano allo stesso livello.

Irene Fenara, con l’opera Three Thousand Tigers, è partita dalla constatazione che la tigre è un animale molto rappresentato, ma che sta scomparendo in natura, e ha voluto rispecchiare questa contraddizione producendo immagini di tigri allenando un algoritmo generativo con solamente tremila esempi, ossia il numero di tigri attualmente rimaste al mondo, a fronte dei milioni di immagini di cui l’algoritmo avrebbe bisogno per fornire risultati soddisfacenti. Le illustrazioni prodotte mantengono così solo alcune delle caratteristiche della tigre. In questo modo l’artista riflette sui cambiamenti naturali e sulla necessità di preservare una memoria digitale.

(Non-)Human: The Moving Bedsheet di Yuguang Zhang rimanda alla relazione che ci lega agli oggetti quotidiani e al confine tra umano e non umano. L’intelligenza artificiale nella visione dell’artista si pone come anello di congiunzione tra l’umano e gli oggetti. Zhang ha addestrato una GAN con le registrazioni del proprio sonno e ha utilizzato i dati per guidare un lenzuolo a un movimento che è umano ma allo stesso tempo è oltre l’umano.

Tra le altre opere presentate nel volume, quelle di Johanna Bruckner, Umanesimo Artificiale ed Elizabeth Bowie Cristoforetti e Romy El Sayah lavorano intorno alla ridefinizione dei concetti di rappresentazione del corpo. Johanna Bruckner con Molecular Sex riflette sull’instabilità delle categorie di genere. L’artista parte dall’idea, corroborata da diversi studi, che le definizioni di corpo e realtà proposte dall’intelligenza artificiale siano influenzate da visioni del mondo eteronormative e razziste. Molecular Sex è un sex-robot gender fluid che riunisce approcci sessuali di vari esseri viventi.

Il collettivo Umanesimo Artificiale con ABCD1 ci porta nei territori della bioarte, traducendo in suoni le mutazioni del DNA. ABCD1 è un gene che codifica le proteine e che mutando causa una malattia neurologica. DNA sano e DNA mutato creano un accostamento di suoni che si fa sempre più regolare nella linea del DNA sano e sempre più astratto nella linea del DNA mutato.

Elizabeth Bowie Cristoforetti e Romy El Sayah in Body as Building propongono un nuovo approccio urbanistico e architettonico, in cui la casa diventa un’estensione del corpo. Un terminale fisso analizza i visi dei fruitori dell’opera e li trasferisce in corpi-casa.

Igor Kraft e Mariagrazia Pontorno prendono invece le mosse dalla connessione tra tecniche antiche e tecnologie contemporanee. Chinese Ink di Egor Kraft si ispira alla tecnica di pittura tradizionale cinese ad inchiostro, concentrandosi non sulla figuralità ma sulle proprietà dei materiali. Una GAN è stata addestrata a riconoscere delle macchie di inchiostro e a generare delle immagini che simulano l’effetto dell’inchiostro sulla carta.

L’opera di Mariagrazia Pontorno, Super Hu.Fo* Voynich, è ispirata al manoscritto Voynich, composto nel XV secolo in una lingua ad oggi non decifrata (probabilmente un linguaggio cifrato). L’artista utilizza il machine learning per tradurre il codice, ma fornendo alla macchina già in partenza la soluzione da trovare, riflettendo così sui confini tra realtà e menzogna.

Un’ultima categoria di opere, infine, riflette sulla risemantizzazione dei confini uomo-macchina. I membri del collettivo Numero Cromatico con l’opera Epitaphs for the human artist pongono la questione del destino dell’artista umano nel mondo dell’IA. Un generatore di testi basato sulle Reti Neurali Artificiali è stato incaricato di scrivere degli epitaffi (brevi descrizioni sepolcrali) per l’artista umano.

The Flute-Singing di Carola Bonfili è un video modellato in CGI (computer-generatet imagery) che racconta la vita della creatura mitologica di un videogioco. L’opera rientra nel progetto Second Order Reality, mirato a innescare nei personaggi del videogame una percezione del proprio corpo e dell’ambiente. Ne deriva un effetto perturbante, risultante dal fatto che una creatura artificiale agisce come se avesse interiorizzato comportamenti e riflessioni umane.

I saggi esplorano il rapporto tra arte contemporanea e intelligenza artificiale

A completare il volume ci sono articoli teorici di esperti del rapporto tra arti e intelligenza artificiale. Nel saggio introduttivo – L’IA come esperienza del limite – Daniela Cotimbo affronta il problema di “relazionarsi con un altro tipo di identità che nasce e si sviluppa nella rete e si alimenta delle azioni e delle conversazioni che generiamo”, del problema delle echo chamber, universi chiusi all’interno verso i quali gli algoritmi ci indirizzano in base ad esperienze affini “andando così ad eliminare ogni nostra percezione della diversità”. In questo modo, secondo Cotimbo, le interfacce tecnologiche diventano “i nuovi corpo entro cui si muovono le relazioni”.

A ciò si intreccia la riflessione ecologica, sul futuro del pianeta, e la necessità di abbandonare un approccio antropocentrico. Di qui i confini che la mostra si impegna a ridefinire: quelli tra essere umano e natura e quelli tra umano e artificiale.

L’articolo di Alex Estorick – Sull’intelligenza – ci riporta alle origini dell’intelligenza artificiale, prendendo le mosse dal saggio del 1950 Computer Machinery and Intelligence di Alan Touring e concentrandosi su una domanda centrale per lo statuto filosofico della disciplina: L’intelligenza richiede consapevolezza? Estorick rimanda così alla distinzione tra consapevolezza funzionale, che può essere “descritta e programmata”, e fenomenica, che risponde a sensazioni esterne. Tra questi due poli filosofi e scienziati hanno dibattuto a lungo, ma ciò che è certo che “l’IA ha sconvolto la nozione di intelligenza quanto la natura dell’essere umano”. E torniamo così a quei confini mobili, che sono il filo conduttore della mostra.

Partendo dal romanzo Klara e il Sole di Kazuo Ishiguro, il saggio di Valentino Catricalà – L’IA e il Sole. Dal medium all’universo andata e ritorno – cerca di superare la dicotomia tra essere umano e macchina che ha caratterizzato la ricerca e l’immaginario intorno all’intelligenza artificiale, inserendo “l’uomo e l’automa in una relazione costante e infinita con un sistema complesso e intrecciato che coniuga mondo organico e inorganico, umano e macchinico”.

Federica Patti si occupa di performatività postumana, esplorando il contributo degli “agenti elettronici in scena”, prevalentemente video e audio, di cui si avvalgono anche alcune delle opere finaliste del premio.

Irini Mirena Papadimitriou nel saggio Ansia e immaginari algoritmici ricorda i limiti dei sistemi di intelligenza artificiale nel rappresentare completamente la realtà e la pericolosità di ciò che definisce tecno-soluzionismo, ossia l’idea secondo la quale ogni problema possa essere risolto attraverso la tecnologia, “riducendo spesso umani, non umani e il pianeta stesso in pezzetti di informazioni, dove tutto diventa dati”.

Nel volume i saggi teorici si integrano con le opere presentate: l’arte creata attraverso intelligenza artificiale presenta infatti, come molta arte contemporanea, una grande dose di concettualizzazione, un retroterra di riflessione filosofica che contribuisce in maniera originale alla riflessione etica intorno allo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Dai saggi e dalle opere degli artisti e delle artiste emerge chiaramente l’importanza dell’arte per lo sviluppo di una consapevolezza umana intorno all’intelligenza artificiale, ai suoi utilizzi e al suo impatto nella società contemporanea.

[In collaborazione con Daniel Raffini]

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