Vulvodinia, la malattia femminile ignorata
Colpisce 1 donna su 7, pochi specialisti e poca assistenza dal SSN. Le terapie però esistono e lo dimostra uno studio appena pubblicato.
Colpisce 1 donna su 7, pochi specialisti e poca assistenza dal SSN. Le terapie però esistono e lo dimostra uno studio appena pubblicato.
Un dolore bruciante o come punture di spilli, intermittente oppure continuo, in una delle parti più intime del corpo femminile, la vulva. Quando dura da almeno 3-6 mesi e non è riconducibile a lesioni, infezioni o altre specifiche patologie, probabilmente siamo in presenza di vulvodinia. Un calvario che affligge fino al 18% delle donne, arrivando a impedire i rapporti sessuali, a ostacolare studio, lavoro, socialità e la possibilità di condurre una vita normale.
Le donne che ne sono affette faticano a trovare assistenza nella sanità pubblica, perché la patologia non è riconosciuta dal Servizio Sanitario e spesso è ignorata dai medici che tendono a liquidarla come disturbo psicosomatico, mentre ha solide basi biologiche. Tuttavia, viene in media diagnosticata con 5 anni di ritardo. E anche dopo la diagnosi molte pazienti rinunciano alle cure, non potendo sostenere economicamente le spese che comporta oppure perché sono pochi gli specialisti si occupano del problema. Eppure le terapie per tornare a stare bene esistono.
Tra questi, un gel per uso topico, a breve disponibile anche nel nostro Paese, che ha dimostrato di ridurre la vestibolodinia, il tipo più frequente di vulvodinia (80% dei casi), di oltre il 70%. È il primo prodotto sviluppato con indicazione primaria per questa patologia e testato nell’ambito di uno studio clinico pubblicato recentemente sull’Open Journal of Obstetrics and Gynecology. Uno studio che hanno fatto luce anche su una malattia ancora poco conosciuta, evidenziandone i bisogni clinici e assistenziali.
“Il dolore vulvare colpisce i genitali esterni femminili”,
ha spiegato Alessandra Graziottin, Direttrice del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica all’Ospedale San Raffaele Resnati di Milano.
“Può interessare il vestibolo vulvare, l’area compresa all’interno delle piccole labbra, al di sotto della clitoride e fino alla forchetta; oppure l’area clitoridea (clitoralgia) o tutta la vulva. Si parla di vestibolodinia quando il dolore, di durata superiore ai 3-6 mesi, interessa il vestibolo vulvare e di vulvodinia quando interessa tutta la vulva. Può colpire non solo la vita intima e sessuale, ma anche tutte le sfere dell’esistenza, perché il dolore cronico è un divoratore esigente di energia vitale e di sogni”.
“La vulvodinia è tutt’altro che rara: colpisce dal 10 al 18% delle donne nell’arco della vita”,
ha evidenziato Filippo Murina, Direttore scientifico dell’Associazione Italiana Vulvodinia Onlus, Responsabile Servizio di Patologia del Tratto Genitale Inferiore presso l’Ospedale V. Buzzi – Università degli Studi di Milano.
“Nonostante il suo pesante impatto sulla sessualità e sulla qualità di vita generale delle pazienti, la malattia non è attualmente inclusa nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Il che si traduce nell’assenza di esenzione per patologia, nella non copertura di tutta una serie di trattamenti e nella mancanza di centri ad hoc, in ambito di sanità pubblica, capaci di affrontare il problema. Una proposta di legge per l’inserimento della vulvodinia nei LEA e il suo riconoscimento quale condizione cronica e invalidante è stata depositata già due anni fa a entrambe le Camere. È cruciale far ripartire l’iter per la sua approvazione e rendere, così, le cure davvero accessibili su tutto il territorio nazionale”.
E prosegue:
“Anche perché guarire dalla vulvodinia è possibile, dato il carattere multifattoriale della patologia, l’approccio deve essere sia multidisciplinare, con il contributo, oltre che del ginecologo, di altri specialisti, sia multimodale, con l’impiego di più strumenti (prodotti topici, farmaci, infiltrazioni, trattamenti fisico-riabilitativi, tecniche strumentali, psicoterapia, dieta, norme di comportamento), che occorre ‘dosare’ in un percorso terapeutico personalizzato sulla singola paziente. Le possibilità sono tante e ne sono in arrivo anche di nuove, come ha dimostrato il gel per uso topico a base di spermidina, veicolata da acido ialuronico, che è in grado di ridurre sia il dolore vestibolare del 76% che alleviare il disagio durante i rapporti sessuali (dispareunia) del 50%, e non presenta effetti collaterali. Risultati promettenti, quindi, nell’ambito di un approccio multimodale e con la necessità di selezionare accuratamente le pazienti che possono trarne beneficio, in base alle loro caratteristiche e alla tipologia di malattia“.