In seguito alla Direttiva Ue 2019/633 contro le pratiche commerciali sleali, a inizio novembre il Consiglio dei ministri ha dato il via libera definitivo al decreto legislativo, che consentirà una maggiore tutela ed equità nei rapporti contrattuali tra gli attori della filiera agroalimentare.

Con il nuovo provvedimento scatta lo stop per una serie di pratiche ritenute scorrette, come il divieto di modifiche unilaterali dei contratti, le vendite sottocosto e, ultimo ma non ultimo, la fine delle aste a doppio ribasso.

Si tratta di un sistema di negoziazione commerciale che produce lo schiacciamento dei prezzi dei prodotti all’origine e che viene utilizzato in maniera spregiudicata dai supermercati, a danno dei produttori originari. Questi ultimi, infatti, per rifornire la Grande Distribuzione Organizzata (GDO), sono spesso costretti a firmare contratti capestro, che li obbligano ad assumersi il costo delle promozioni e degli sconti che la catena cliente vorrà mettere in atto, oppure a pagare lo spazio a scaffale con un prezzo che varia a seconda della posizione.

Il meccanismo dell’asta funziona così: vi è una prima convocazione da parte della GDO, che chiede ai fornitori di proporre un prezzo per una certa quantità di merce. Raccolte tutte le offerte, il committente convoca nuovamente le aziende, utilizzando l’offerta più bassa come base d’asta per ottenere ulteriori ribassi di prezzo. In questo modo il produttore che vuole aggiudicarsi la vendita del lotto deve ribassare ulteriormente il listino nel tentativo di assicurarsi la commessa.

Si tratta di una buona notizia. Perché il legislatore ha finalmente deciso di intervenire in una situazione che produce ingiustizia, con l’obiettivo di arginarla e impedirla. Questa importante modifica legislativa, che va a coprire un vuoto giuridico importante, a tutela dei produttori e dei fornitori alimentari, permette di riflettere su tre aspetti interessanti.

Chi vince e chi perde

Il primo può essere sintetizzato con una domanda: cui prodest? Chi ci guadagna con il divieto delle aste a doppio ribasso? E chi ci perde? Sicuramente ci guadagnano i produttori, i fornitori primari dei prodotti alimentari, che sono uno degli anelli più deboli della filiera. Questi recuperano un po’ di potere contrattuale e potranno spuntare prezzi migliori per i loro prodotti. Ci perde, poco, la grande distribuzione, che non potrà più sfruttare i prezzi bassissimi dei fornitori, pur restando comunque un soggetto molto forte nella catena commerciale. E i consumatori? Da un lato sembrerebbero perderci perché alcuni prodotti potrebbero costare di più, ma da un altro lato ci guadagnano anche loro, perché i produttori primari non saranno costretti a usare ogni mezzo disponibile per abbassare i prezzi dei prodotti, che quindi potranno essere qualitativamente migliori (meno utilizzo di prodotti chimici di sintesi, meno sfruttamento della manodopera, ecc.).

A ciascuno il suo prezzo

Il secondo aspetto da mettere in evidenza riguarda la complessità della filiera alimentare, il funzionamento del mercato e la logica dei costi. A tal riguardo, infatti, vediamo come vi sia un prezzo all’origine, fatto da chi produce, un prezzo gestito da un intermediario e un prezzo finale, deciso dal dettagliante. In questa catena ci sono vincitori e vinti, negoziazioni e rapporti di potere, che devono essere riequilibrati dall’intervento pubblico.

L’importanza di regolare questo mercato

In terzo luogo e in collegamento con quanto appena detto, si conferma che la regolazione pubblica nel settore agro-alimentare non può non essere intrusiva, penetrante e diffusa. Il mercato dei prodotti agro-alimentari non è un mercato qualsiasi, che possa esser regolato dalla concorrenza e dai rapporti negoziali tra operatori e tra produttori e consumatori. Per tali ragioni la regolazione pubblica deve premurarsi di offrire una serie di tutele ai vari soggetti deboli che compongono la filiera.

In tal senso, i produttori originari affrontano costi e margini di rischio notevoli. Infatti ricevono sussidi alla loro attività. Al contempo produrre un alimento ha dei costi, che non possono essere ignorati, né aggirati: la manodopera non deve essere sfruttata, l’ambiente deve essere rispettato, la tutela della biodiversità incoraggiata e la salubrità garantita. Tutto questo ha un costo elevato per chi produce cibo e gli va riconosciuto, anche a patto di pagare di più il prodotto finale.

In mezzo, nondimeno, ci sono gli intermediari, che svolgono un lavoro utile perché consentono a enormi quantità di alimenti di arrivare sugli scaffali dei supermercati, dove possiamo acquistarli facilmente e a costi sostenibili, ma al contempo condizionano il mercato, imponendo la loro legge sui prezzi (anche per queste ragioni è giusto promuovere l’acquisto di prodotti cosiddetti a km 0). Di qui, interviene lo Stato, i poteri pubblici, che mettono dei freni agli abusi di queste posizioni di potere, che quindi vietano alcune pratiche e, al contempo, ne incentivano altre, ritenute virtuose.

Non è un caso se i principali interventi del regolatore pubblico in ambito alimentare siano da un lato di sostegno e promozione (come nel caso dei sussidi previsti dalla PAC, sulla quale però rimangono vive le critiche di una certa miopia, perché i destinatari degli aiuti andrebbero scelti con criteri più attenti alle prerogative ecologiche) e, dall’altro, i divieti, corredati da controlli e sanzioni nei confronti di pratiche scorrette o pericolose.

Alla fine della filiera ci sono i consumatori: anche questi ultimi sono in una posizione di debolezza, soprattutto per l’asimmetria informativa che ne mina le loro capacità di scelta consapevole. Questi sono moderatamente tutelati in merito ai prezzi dei prodotti che acquistano, ma lo sono meno in ordine alla qualità e alla salubrità dei prodotti, nonché in merito alle informazioni su questi ultimi.

In conclusione, nel registrare i successi della regolazione, come l’abolizione delle aste a doppio ribasso, occorre pretendere che i regolatori pubblici facciano di più per tutelare produttori e consumatori, ma quest’ultimi – quindi tutti noi – devono essere disposti a informarsi di più e, eventualmente, anche a pagare di più.  

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