Viva per miracolo: Loredana la sopravvissuta
Giornata Internazionale contro la violenza maschile: il racconto in prima persona di Loredana Bertè, una guerriera nata libera.
Giornata Internazionale contro la violenza maschile: il racconto in prima persona di Loredana Bertè, una guerriera nata libera.
Chi scrive è una sopravvissuta. Ma è stato un caso, una serie di fortunati eventi mi hanno portata ad essere la donna e l’artista che tutti voi conoscete, con vari lustri di carriera sulle spalle ed il sangue che ancora le pulsa forte nelle vene. Magari oggi Loredana Bertè sarebbe solo un nome archiviato in qualche fascicolo della Polizia di Stato, con un viso sconosciuto ai più ed un’età variabile, rientrando a pieno titolo nell’elenco di quelle donne che ogni giorno, in Italia, sono vittime di reati di genere.
Il mio carattere impetuoso, curioso e ribelle e la mia personalità esuberante, mi hanno portata ad agire in modo avventuroso e sfrontato fin dai miei teneri esordi, sfidando tutti e tutto, fregandomene delle convenzioni e dei ruoli: in casa già da bambina disobbedivo di continuo se qualcosa non mi tornava o non mi andava giù, nonostante la rigida educazione che ci veniva imposta, la minigonna è sempre stata la mia divisa di emancipazione femminile (ad iniziare dal liceo), ho viaggiato da sola in lungo e in largo prendendo aerei fino in Marocco o in Brasile (e non solo per lavoro), se i miei fidanzati mi tradivano o li lasciavo o gli rendevo la pariglia, ho sempre reagito agli innumerevoli episodi di quello che oggi viene definito come catcalling (noncurante della stazza di chi avevo di fronte) e non ho mai tenuto a freno la lingua per prudenza.
Insomma, ho sempre affrontato questo mondo di uomini come se fossimo davvero alla pari, tenendogli testa in ogni situazione e senza mai farmi imporre niente: pensate un po’ in quante occasioni sarei potuta venire a mancare nella mia vita, fornendo inoltre innumerevoli attenuanti ai miei potenziali aguzzini. Eh già, perché se ancora oggi questo modo di vivere viene giudicato sconveniente quando il soggetto è femminile, figuratevi allora, avrebbero detto di sicuro che me l’ero cercata!
In definitiva sono proprio “… una di quelle che qualcuno le guarda come avessimo dentro qualche tipo di colpa…”, come canto nel brano Ho smesso di tacere, che il grande Luciano Ligabue ha deciso di regalarmi dopo aver ascoltato, in un’intervista alla tv, la storia che sto per raccontarvi. Una storia nella quale ho davvero rischiato grosso e che risale a quando ero una giovane donna. Il lupo può aspettarti dietro ad ogni angolo e spesso è travestito da agnello, mai abbassare la guardia.
Il mio mi corteggiava e mi portava fiori tutte le sere fin quando accettai di uscire con lui, con quel bastardo che a furia di calci e pugni si prese con la forza la mia innocenza. E pensare che fino a 18 anni non avevo nemmeno mai dato un bacio, ero una romantica ma riuscii lo stesso a spaccargli un vassoio in testa e ad uscire dalla trappola in cui mi aveva spinta e a chiedere aiuto. Mi andò bene: raggiunsi solo l’ospedale, mica l’obitorio…
Io sono sempre stata una guerriera libera, una combattente, forse anche per questo sono qui a raccontarvelo, ma non ho mai denunciato a chi di dovere quel figlio di p…. Voi direte che erano altri tempi, tempi in cui era ancora in vigore il delitto d’onore, ed è vero (la stessa Giornata mondiale contro la violenza sulle donne è stata istituita solo una ventina d’ anni fa) ma, ancora oggi siamo in poche a denunciare. E questo dovrebbe far riflettere più di ogni altro elemento.
Infatti, a nostra discolpa, i motivi delle mancate denunce possono essere tanti: il senso di lealtà verso il proprio carnefice (sovente padre, marito, fidanzato, ex partner…), la vergogna nel dover esporre determinati avvenimenti, la dissuasione da parte di chi ci sta vicino, la paura di non essere credute ma, soprattutto, le leggi e le sentenze che sono sempre più lente e miti degli autori delle violenze. E così, la maggior parte di noi, subisce in silenzio fino alla fine. Non solo non denunciando, ma non parlandone proprio con nessuno, al massimo una confidenza accennata a pochi intimi, andando avanti a colpi di fondotinta e occhiali da sole per coprire i lividi, fingendo serenità e benessere.
Gli si perdona tutto o si resta impassibili di fronte ad ogni nefandezza, fino alla tomba. Eppure in Italia una donna su tre ha subito almeno una volta nel corso della sua intera vita violenza fisica o sessuale. Ma le cose non cambiano molto anche di fronte ad una denuncia, in quanto è tutto il sistema antiviolenza di genere che non funziona…Altrimenti i femminicidi non aumenterebbero in modo così spaventoso!
Basti pensare che durante il lockdown è diminuito il numero totale degli omicidi ma non quello degli omicidi con vittime di sesso femminile, anzi, abbiamo assistito ad un vero e proprio boom di violenza domestica: nemmeno la presenza massiccia di forze dell’ordine in giro a pattugliare le nostre città è stato un deterrente per questi assassini. Loro si sentono quasi legittimati in una società dove le richieste di aiuto vengono minimizzate perché, per pregiudizio, si ritiene che le donne mentano o esagerino, dove le forze di polizia, quando intervengono, in molti casi si limitano a liquidare il tutto come una lite famigliare in cui sono stati chiamati a placare gli animi, mentre, al contrario, le pene per i colpevoli sono irrisorie e le attenuanti vengono elargite quasi di default (e non solo dai giudici, quante volte leggiamo omicidio passionale o dramma della gelosia in relazione ad un articolo che tratta di questi argomenti?).
Così, anche quando le donne denunciano alle autorità competenti di essere vittime di stalking, lesioni o addirittura tentativi di omicidio, non ottengono protezione e il risultato è solo quello di far incazzare ancora di più il mostro che le perseguita. Ricordo con estrema rabbia e indignazione un caso di qualche anno fa, in cui una donna aveva denunciato non una, non due, ma svariate volte il suo ex prima di essere uccisa. Viviamo in un paese dove le leggi ci sono ma, o non vengono applicate proprio o non vengono applicate in modo tempestivo, dove i fondi destinati ai centri antiviolenza sono pochi ed erogati con ritardo e molti hanno dovuto arrendersi e chiudere.
Ecco, volendo proprio riassumere, prima ancora che di violenza di genere siamo vittime di: pregiudizio, stereotipi, svalutazione e mancanza di fiducia, tempismo e scarsi investimenti da parte delle istituzioni. È per questo che non mi stancherò mai di ripetere a tutte le donne: al primo schiaffo alzate i tacchi, allontanatevi senza mai voltarvi indietro, non accettate il fatale ultimo appuntamento chiarificatore con l’ex violento e denunciate.
Prima che l’escalation di violenza vi travolga inesorabilmente volate via, libere… e smettete di tacere. “Quando la vita dell’anima è minacciata, non soltanto è accettabile tirare una riga, è indispensabile”. Donne che corrono coi lupi – Clarissa Pinkola Estés.