In questo articolo farò un uso specifico dell’espressione “testa di ca77o” (dickhead), che scriverò con dei 7 al posto delle zeta per non incorrere in algoritmi che non capiscono la differenza tra una volgarità e la discussione sull’uso di un luogo comune. Vi prego di non fare lo stesso errore dell’algoritmo: vorrei che la vostra attenzione sia concentrata sull’uso che facciamo di questa espressione e non sui fastidi collegati alla sua volgarità. Credo fermamente che ne stiamo sottovalutando l’importanza.

Quando un opinionista social che ha un seguito di molte migliaia di persone conquistate dalla sua retorica populista dice la sua opinione sul catcalling, poi la smentisce, poi la ritratta, insomma si barcamena tra tutto e il contrario di tutto pur di riequilibrare quel numero di followers che pericolosamente ondeggia e che lo fa tremare al solo pensiero di dover tornare al lavoro precedente il suo esordio sui social, chiediamoci: sta realmente pensando? Sono parole uscite da un cervello, da una mente? E’ il risultato di un’attività cerebrale, di una forma di ragionamento? Oppure si è azionato qualche altro organo che ha evidentemente influenzato quelle espressioni, quelle scelte di linguaggio?

Si potrebbe obiettare che tutto ciò – il fenomeno mediatico, il linguaggio che usa, il pubblico che gli risponde – sia ascrivibile a una volgarità media sulla quale non serve a molto ragionare. Bene, prendiamo allora un altro caso certamente non volgare e di qualità culturale apparentemente molto più elevata. Quando un noto autore televisivo esperto in comicità dice sul catcalling le solite trite violente scemenze – analoghe nella sostanza a quanto detto dal tizio precedente – il dibattito vola alto tra punte di fioretto battutistico e dotte citazioni, eppure non sembra che le allusioni permettano di mascherare troppo la stessa sostanza: il diritto di manifestare la mia eccitazione sessuale a chi non ha minimamente dato il suo consenso a ricevere quella manifestazione. Sempre quello è, anche se detto in un italiano molto più forbito. Non per caso, poche settimane dopo, due colleghi di questo autore producono un “pezzo comico” largamente pubblicizzato per difendere la liceità di un linguaggio violento, offensivo e discriminante in virtù di una certa idea di comicità.

Proviamo a cambiare esempio. Quando un uomo vede dall’altra parte dei binari della metropolitana due ragazzi che si stanno baciando, può fare molte cose. A qualcuno pare che sia possibile non solo trovare quel gesto provocatorio e osceno, ma anche che abbia il diritto di fermare quella pratica in pubblico attraversando i binari e andando a prendere a botte i due ragazzi. Si arroga cioè in virtù di una sua convinzione un tale diritto, un tale potere, da mettere a repentaglio la propria vita per esercitare il presunto diritto di cancellare dalla vista pubblica uno spettacolo che lui ritiene osceno e di punire fisicamente i due interpreti di quello spettacolo. Anche in questo caso ci si affretta a distribuire giudizi di violenza o di pazzia, ma non credo sia molto utile fermarsi a questa superficialità.

Un altro caso apparentemente lontano e diverso. C’è una autorità pubblica, contestata ma non rimossa dal suo potere né costretta a ripensamenti legali, che ha recentemente vietato per molti giorni consecutivi la vendita pubblica di assorbenti (provvedimento localmente ritirato ma a livello nazionale neanche discusso) dopo le ore 18, assimilandoli a beni di lusso non necessari in momenti d’emergenza. L’assurdità di questo fatto capitato a una cittadina ha sollevato polemiche e una discussione sulla tassazione di molti beni, ma nessun provvedimento pubblico ha rimosso o sanato una delle tante assurdità emerse. Il senso di un potere che agisce solo verso una precisa parte della popolazione è rimasto.

Un padre difende in pubblico il figlio a due anni da un’accusa di stupro pontificando su cosa è e cosa non è una violenza sessuale, e come andrebbe trattata dalla vittima e dal sistema giudiziario; anche questo è successo. Anche in questo caso ci si chiede, come opinione pubblica, da dove è possibile trarre sia gli assurdi “ragionamenti” fatti dal soggetto, sia l’altrettanto assurda “solidarietà in quanto padre” a lui concessa da molti personaggi pubblici che evidentemente hanno difficoltà a immaginare che esiste anche il padre della sopravvissuta a uno stupro – la quale è difesa da un principio del nostro diritto analogo al “si è innocenti fino a prova contraria”; e cioè che “chi denuncia dice la verità fino a prova contraria”.

In questi casi molto diversi, c’è una costante: quelle frasi, quegli pseudoragionamenti, quelle prese di posizione non sembrano uscite da un cervello, perché di logico, di colto, di ponderato non hanno nulla; ma non sembrano neanche uscite dalla pancia, perché non tengono evidentemente conto che la pancia ce l’hanno anche le donne e chi etero non è. Probabilmente sono uscite da un altro organo – ed ecco che si manifesta quella verità che abbiamo forse finora colpevolmente sottovalutato: “testa di ca77o” non è una metafora. Questa è gente che ragiona con il glande e ne ha assimilato il modo di vedere il mondo: il sesso maschile è quello che sono, e quello che sono determina la visione della società, delle gerarchie, delle relazioni, dei linguaggi. Una visione, una weltanschauung si diceva una volta, che anche chi non ha il glande possiede – perché anche molte donne sono d’accordo con quella roba – perché ne condivide la centralità. Tutto sembra partire da lì, dalla testa del ca77o.

E il glande, si sa, non ha neuroni: niente memoria, niente associazioni, niente ragionamenti, niente capacità di riconoscere forme o concetti. Solo spinta, forza, volontà diretta dalle proprie voglie, dal proprio unico desiderio. Altro che metafora, questa è tutta una cultura.

Qualche suggerimento per approfondire

1 Gianfranco Lotti, Dizionario degli insulti, Siad Edizioni.

2 Vera Gheno, Femminili singolari, effequ.

3 L’uomo che non deve chiedere mai, gruppo Facebook

4 Palinsesto femminista, podcast su Spotify

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