(Ho pensato ad un articolo leggero appunto per festeggiare la fine di questo estenuante agosto, anche se, la musica festaiola che entrava dalle finestre della mia stanza la ho ancora nelle orecchie; quelle melodie che, mentre io cercavo di concentrarmi su altro, le persone, quelle che una vita vera la hanno, danzavano sesso e samba sesso e samba gustandosi un mojito).

La morte. Il lutto

Quando pensiamo alla morte l’unica prospettiva in cui riusciamo a porci è quella di vedere essa attraverso la vita: la morte è colei che ci priva di qualcuno che amiamo, che ci fa conoscere l’ineluttabile, che squarcia il nostro stomaco, che rende la vita un terreno sconosciuto ed aspro in cui re-imparare a compiere qualche passo.

La morte ci riporta a uno stato embrionale in cui indifesi viviamo di paure che neppure sapevamo esistessero fino a un attimo prima, quell’attimo in cui la bolla del nostro mondo è stata fatta esplodere. Piangere, disperarsi, non riconoscersi più: perché la morte non porta via solo chi muore, ma anche noi che rimaniamo qua, che abbiamo perduto ciò che teneva unite l’esistenza all’essere, creando quella dimensione di senso di cui tutti abbiamo bisogno.

E la morte strappa il senso da ogni cosa restituendoci l’esistenza nella sua crudezza, facendola vedere per quello che è: biologia. Mera biologia. Sartre, uno dei massimi teorizzatori dell’insussistenza dell’esistenza, dice che l’unico modo affinché essa abbia un senso è che esista qualcuno che nomini il nostro nome: qualcuno che ci chiami. In questa valle di nulla solo l’amore può restituirci ad un senso. È terribile la morte vista secondo una tale prospettiva, ma lo è altrettanto la vita giacché quando si perde, se si perde chi si ama e chi ci ama tutto crolla inesorabilmente.

Chi muore soffre?

Ma siamo così convinti che la morte sia così dolorosa solo per chi resta? Non potrebbe essere dolorosa anche per chi muore? Chi muore vuole davvero lasciare il suo corpo? Avviene subito? Cosa accade quando si deve transitare da un mondo all’altro da una dimensione conosciuta ad una sconosciuta? Non c’è il rischio che il morto si senta sperduto nella nuova dimensione, che anche lui debba trovare pace?

La memoria muscolare

Noi non abbiamo un corpo, ma di fatto abitiamo un corpo: ogni elemento di noi è intriso nei nostri organi; oggi si parla di memoria muscolare: i nostri muscoli si ricordano di noi, narrano la nostra storia ed è una storia complessa, lastricata più l’organo è, per così dire, fondamentale.

Un cuore non è solo una macchina che pompa del sangue, ma dal cuore noi ci siamo innamorati, ce l’ha detto lui, abbiamo sofferto, è sempre lui a dircelo, ci siamo emozionati il primo giorno di scuola, e poi ha battuto forte il giorno della nostra laurea. Il cuore è un muscolo che porta memoria di noi. È noi. Le nostre emozioni più profonde. Ogni suo battito ha detto qualcosa circa ciò che siamo stati, che saremmo diventati. Il cuore si emoziona mente noi ci emozioniamo. il cuore è le nostre emozioni.

Come deve essere lasciare andare quel cuore? Come deve essere lasciare andare quel corpo con cui hai combattuto tutta la vita perché non ti andava bene, mentre lui cercava di fare pace con te? Come deve essere lasciare anche quel corpo che invece ti ha sfidato, si è ammalato rendendoti la vita impossibile? Come deve essere lasciare i piaceri del corpo? Dalla banalità di una pizza, alla bellezza del mondo, al profumo dei boschi la mattina presto, al sesso, allo scrociare del mare mentre i piedi affondano nella sabbia ormai fresca di fine settembre. Un bicchiere di vino, una risata, un libro… tutti quei sospesi con la vita che sempre, anche a novanta anni, resteranno sospesi.

Chi muore lascia tutto questo. Quando moriremo lasceremo tutto questo. E allora come faremo… soffriremo?  

Il principio di intuizione

Siamo come serpenti che continuano a cambiare pelle e questa dimensione ci deve insegnare a lasciare andare. Ma una cosa sopra tutte bisogna lasciare andare, mettere nel cassetto: la presunzione della razionalità. Quella presunzione per cui una mente lucida ha una spiegazione per tutto e per la quale l’intuizione è qualcosa di folle che non ha il dovere di essere coltivata. In termini opposti parla invece un libro che vi consiglio caldamente di leggere Dopo: in esso emerge evidente come il mondo di qua e quello di là non siano due entità separate, come vi possano essere diverse aperture, anelli che non tengono, che ci permettono di persistere nell’amore e nella condivisione di chi abbiamo perduto. Nulla si crea e nulla si distrugge, tutto cambia.

La vita cambia solo forma e modo, ma non la sua sostanza. Non si perde mai se non si vuole perdere! Dopo è un testo che consente anche di accettare le proprie intuizioni, di accoglierle e approfondirle senza avere paura e senza pensare di essere sbagliati.

I morti non sono scomparsi, hanno solo cambiato dimensione, secondo le ricerche condotte da Stéphane Allix (giornalista americano che dopo la morte di suo fratello in Afghanistan ha iniziato questa inchiesta), e possono avere timore, possono non avere voglia di lasciarci, possono essere inibiti nell’accogliere la loro nuova missione proprio per starci accanto.

Affidandoci solo alla razionalità siamo diventati macchine incapaci di desiderare: solo il desiderio è infatti in grado di farci vedere le stelle (come l’etimologia della parola ci insegna).

La morte. Aiutare la transizione

A volte i nostri cari, apparentemente morti, hanno bisogno di noi: delle nostre parole, del nostro supporto, del nostro consenso per lasciarsi andare. Devono accettare di abbandonare tutto lo splendore della vita di un corpo che hanno conosciuto. A volte ritornano nei sogni, a volte nella veglia, altre ci lasciano dei segni. Ma, ottusi noi continuiamo ad andare in ufficio e comprare lavatrici. Ottusi dalla nostra razionalità: c’è una spiegazione per tutto. No, non c’è. E le scienze sono fragili quanto la vita.

L’altra notte mi è comparsa Emma in sogno, il mio amato cane, il mio pastore tedesco morto a gennaio del 2023. Io sarei dovuta morire a giugno 2024. Lei è di là e io ancora di qua. Mi ha detto che soffre, che le manco e che non capisce perché io la abbia abbandonata. Non potevo andare con lei: dovevo incontrare una nuova vita che ora pulsa nel mio petto. Mi chiedo solo una cosa, e vorrei tanto ci fosse risposta: come posso aiutarti mia dolce Emma?

Sta a noi dire ai nostri morti che possono andare.

Io con te non ci sono mai riuscita. Scusami.

Condividi: