Laura (o Laurea) Lanza nacque nel castello di Trabia e visse l’adolescenza nel palazzo gentilizio di Palermo. Il padre combinò le sue nozze con un membro di una facoltosa e blasonata casata con la speranza che la figlia gli desse un discendente maschio.

All’età di 14 anni, infatti, Laura andò in sposa a don Vincenzo II La Grua-Talamanca, figlio del barone di Carini e si trasferì nel suo castello dove visse per vent’anni e dove nacquero i suoi otto figli.

Schiacciata dal volere dell’avido padre e dalla pochezza del marito, Laura intrecciò una relazione con il giovane Ludovico Vernagallo (cugino dei La Grua e amico d’infanzia). I due innamorati si incontravano in una stanza attigua al salone delle feste, con la complicità della servitù che proteggeva la povera baronessa. La storia d’amore andò avanti per un paio d’anni finché (il 4 dicembre 1963) i due amanti non furono colti in flagrante adulterio dal marito che, anziché reagire, attese l’arrivo al castello del suocero per chiedere come fosse meglio comportarsi. Fu infatti lui a prendere la decisione finale: uccidere la figlia e il suo amante.

L’uccisione di Laura e l’impronta della mano sul muro

La leggenda racconta che Laura fu colpita ripetutamente al petto e alle spalle, e, quando scivolò per terra esanime, lasciò l’impronta indelebile della sua mano insanguinata sul muro (impronta che riappare ancora di notte, quando nel castello si odono le sue urla ed il frusciare delle sue gonne). I corpi degli amanti furono portati nella chiesa del paese ed esposti pubblicamente a dimostrazione dell’onore ristabilito in famiglia.

Cesare Lanza fu bandito dalla regione e gli furono confiscati i beni per ordine del Vicerè, quindi abbandonò la Sicilia in tutta fretta e riparò a Roma dove chiese aiuto al re di Spagna (e Sicilia), Filippo II. Grazie ad un abile espediente per aggirare la legge, Cesare Lanza ne uscì praticamente immacolato: il delitto d’onore ai tempi non era punibile, ma doveva essere attuato dal marito, non dal padre; visto che il genero era di fatto consenziente e presente nella stanza, fecero ricadere l’assassinio sotto la definizione di delitto d’onore (liquidabile quindi con una minima pena).

In Italia ci sono voluti altri 400 anni (1981) affinché la legge sul “delitto d’onore” - ma anche del “matrimonio riparatore” - fossero cancellate.

Questa è una strofa della canzone riportata dai cantastorie:

«Vurria ‘na canzunedda rispittusa, chiancissi la culonna a la me casa; la megghiu stidda chi rideva in celu, anima senza cappottu e senza velu; la megghiu stidda di li Serafini…
Povira Barunissa di Carini!»

La storia della baronessa di Carini in tv

Nel 1975 la vicenda è stata adattata per la televisione nello sceneggiato Rai L’amaro caso della baronessa di Carini, diretto da Daniele D’Anza e interpretato da Ugo Pagliai e Janet Agren; ero bambina, ma ricordo ancora come la tristezza della canzone e quella mano insanguinata sul muro mi fecero spaventare.

Nel 2007 ne è stata fatta una nuova versione televisiva con la regia di Umberto Marino, e gli attori Vittoria Puccini e Luca Argentero nelle parti dei protagonisti.

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