A ottobre primo Congresso Mondiale per la Giustizia Climatica a Milano
Al via il congresso per rilanciare la convergenza strategica contro il capitale fossile, per una giustizia climatica. L'intervista al comitato organizzatore.
Al via il congresso per rilanciare la convergenza strategica contro il capitale fossile, per una giustizia climatica. L'intervista al comitato organizzatore.
La prima edizione del World Congress for Climate Justice – Congresso Mondiale per la Giustizia Climatica – promossa dal basso da una serie di realtà e attivistə per la giustizia climatica, si svolgerà a Milano dal 12 al 15 ottobre 2023.
Si tratta di un’iniziativa per la convergenza contro il capitale fossile e per rilanciare il dibattito fra numerose sigle e network internazionali. Ne ho parlato con il Comitato Organizzatore.
In che modo è maturata l’idea di un incontro internazionale per rilanciare il dibattito sul tema della giustizia climatica?
Nell’estate del ’22, quando la siccità aveva prosciugato i principali fiumi europei e la catastrofe climatica incombeva (oggi sappiamo che l’estate del ’23 è ancor più apocalittica), attivistə europee di Liegi, Milano, Berlino hanno sentito la necessità di un’Internazionale che congiungesse i nuovi movimenti di resistenza climatica nati dopo il ‘18 con l’ecologismo radicale di matrice anarcoautonoma dei climate camp e della resistenza al capitalismo fossile. E’ nato così il progetto di un congresso mondiale per la giustizia climatica, a partire da una prima assemblea nell’inverno scorso alla Statale di Milano, in cui sono confluiti i principali gruppi di climattivismo italiani (XR, Ultima Generazione, Scientist Rebellion), Ecologia Politica, il Piano Terra e la rete dei centri sociali della città.
Il Congresso Mondiale per la Giustizia Climatica è una chiamata per un’alleanza transnazionale tra movimenti climatici esplicitamente rivoluzionari, attivistə e intellettuali di tutto il pianeta, con l’ambizione di definire un’agenda e un orizzonte ideologico comuni. E’ inoltre il primo incontro globale sul clima che non nasce in risposta alle periodiche COP dell’ONU sul riscaldamento globale. Milano è simbolicamente una capitale dei climate strike e fa da cerniera fra il Nordeuropa tradizionalmente più ecoattivo e il sud mediterraneo dell’Europa, ora devastato da fiamme, ondate di calore, cicloni e alluvioni.
In una città in cui i parchi sono chiusi per il tornado di fine luglio con migliaia di alberi abbattuti, la pianura attorno è marcia per alluvione, circondata dalle Alpi dove tutti i bacini idrici sono secchi e i ghiacciai si sciolgono, è semplicemente assurdo pensare di gettare ancora più cemento e sventrare foreste per l’industria dell’entertainment delle Olimpiadi, magari coi cannoni per la neve.
Che tipo di impostazione, di modalità di discussione caratterizzeranno questi quattro giorni? Che tipo di realtà e di istanze saranno presenti?
Il primo giorno, giovedì 12 ottobre è dedicato a workshop e incontri su arte e attivismo climatico, ovvero come possiamo sovvertire la narrazione dominante e generare un’immaginazione radicalmente altra a partire dallo zadismo e le comunità urbane e rurali resistenti. Quella sera daremo il benvenuto alle più di 200 delegate e ai delegati dai cinque continenti con un aperitivo postcoloniale al Piano Terra all’Isola. Il venerdì 13 ottobre è dedicato ai seminari nei chiostri di Festa del Perdono, dove i diversi movimenti e collettivi presenti spiegheranno le loro pratiche e i loro punti di vista in incontri aperti a tuttə lə attivistə e a tutta la cittadinanza. Quella sarà altresì la giornata di azione e protesta nonviolenta contro il sistema neoliberale che depreda territori e fa bollire il pianeta.
Sabato 14 ottobre, il congresso entra nel vivo con le assemblee tematiche nelle aule della Statale dove le numerose delegazioni dai vari movimenti/Paesi entreranno in discussione fra loro riguardo la tattica delle lotte e la risposta alla repressione, l’impostazione teorica delle diverse tradizioni dell’ecologismo rivoluzionario e i principali temi intersezionali che delimitano il territorio della giustizia climatica quali l’ecotransfemminismo, le migrazioni, il dominio patriarcale, le guerre, l’agroecologia, l’antispecismo, la decrescita e l’impatto su transizione ecologica e giustizia sociale. Avremo anche molto sindacalismo biosociale su lavoro essenziale/precario, e le lotte nei luoghi di lavoro per la settimana di 4 giorni come misura di riduzione delle emissioni oltre che miglioramento del benessere sociale.
La domenica ci ritroveremo tuttə al Leoncavallo in assemblea plenaria per lanciare le linee guida in uscita dal congresso. Lo scopo è quello di costituire il fronte radicale del movimento climatico mondiale.
L’impostazione delle giornate sembra evidentemente improntata a un approccio anticapitalista, nel senso che una riflessione – e una mobilitazione – ecologista che non intenda mettere in discussione il modo di produzione egemone sembra destinata a fallire, o al limite a promuovere piccole migliorie, misure “green” in un impianto estrattivista, antropocentrico e predatorio. Quanto lavoro c’è ancora da fare, secondo voi, per diffondere questa consapevolezza, e quanto stretti sono i tempi per farlo? Che idea avete dell’attuale fase di crisi e delle risposte dal basso alla crisi climatica?
Non faremmo un congresso mondiale su questo se avessimo già una risposta certa. Intendiamo trovarla mettendo a sintesi e massimo comune multiplo le diverse tesi e visioni, nell’ottica di una convergenza strategica contro il capitale fossile. Le lotte ci stanno indicando però la strada. In primo luogo, sulla scia di Greta Thunberg e Just Stop Oil, il climattivismo globale agisce con urgenza per farla finita con il petrolio. E’ per questo motivo che abbiamo dato da subito un posto di primo piano nel WCCJ alla lotta al capitalismo fossile. In secondo luogo le oligarchie globali attraverso gli stati nazionali stanno militarizzando questo conflitto, reprimendo il dissenso e chiudendo spazi democratici di discussione. In terzo luogo la domanda forse più centrale di tutte: come possiamo praticare un rapporto fra umano, animale, ecosistema vivente e modo di produzione energetico, che rigetti il neoliberismo e combatta il fascismo risorgente? Da qui l’importanza di una pratica intersezionale fra antispecisti, agroecologia, fonti energetiche alternative al petrolio, accesso all’acqua come bene comune, trasfemminismi e approcci decoloniali.