E’ questo il succo di un progetto di innovazione aperta a cura di Stefano Pizzi e Antonio Spanedda in collaborazione con Accademia Belle Arti di Brera, di cui fa parte il lavoro realizzato per IZMEE,  una capsule collection di borracce in acciaio portatrici di valori come sostenibilità e libertà di espressione, reinterpretate attraverso l’estro artistico di giovani artisti e docenti dell’Accademia di Brera, con l’obiettivo di generare valore sociale e ambientale per mezzo dell’arte. L’opera dal titolo Speranza, di Davide Meroni, è stata scelta proprio per rappresentare la collezione 2020 Arte limited edition per il collegamento tra uomo e terra, con alberi e radici incisi a laser su un look essenziale. IZMEE, poi, è partner di Cesvi, organizzazione internazionale attiva nella lotta per la salvaguardia e la tutela dei diritti umani e con l’acquisto dei prodotti si supportano i progetti di Cesvi.

Arte e impresa seguono quasi sempre percorsi differenti.
L’impresa è dotata di razionalità strumentale e mira al conseguimento di un risultato concreto. La standardizzazione è necessaria per far fronte al contenimento dei rischi e all’ottimizzazione dei costi; il tempo è molto frammentato e misurato come indice di efficienza. Al contrario l’arte ha una razionalità mediata da sentimenti e passioni, non subisce standardizzazioni o pensieri sequenziali, non vive il tempo come uno stress e soprattutto intreccia sempre una moltitudine di storie.

Un incontro fra questi mondi può portare benefici ad entrambi.
L’arte può aiutare l’impresa a sviluppare una maggiore attitudine verso l’innovazione, aggiungere contenuti e fornire nuovi strumenti per il marketing; la comunicazione che nasce dall’arte, infatti, è potente, sorprendente: è capace di stimolare la curiosità, provocare domande, mettere in discussione l’esistente rompendo un pensiero convenzionale, favorire punti di vista inediti, agevolare l’integrazione culturale e diventare un’antenna sintonizzata sul futuro, anticipataria di scenari e comportamenti.

L’impresa a sua volta può avvicinare gli artisti alla visione strategica adottata dal mondo degli affari e dell’imprenditoria, favorendo nuove conoscenze e capacità di carattere organizzativo gestionale ed economico.

L’imprenditore che si avvicina al mondo dell’arte diventa beneficiario e insieme promotore attivo di quest’ultima: poiché produce cultura, genera il bello, determina valore per l’Azienda e per tutti quei soggetti coinvolti nel progetto.

Il rapporto tra le Arti Visive, disciplina espressiva del contesto sovrastrutturale, e Impresa, elemento cardine di sviluppo nella struttura produttiva di un libero mercato, vede i suoi albori con la seconda rivoluzione industriale nell’ambito di quella comunicazione, atta a promuovere manufatti, merci, e quant’altro, chiamata pubblicità”– dice il Professor Stefano Pizzi, attualmente Titolare di Cattedra di Pittura, Responsabile delle Relazioni Esterne e membro del Consiglio di Amministrazione.
Pizzi è animatore di istanze culturali e di interventi nel sociale e conduce a tutt’oggi una costante attività espositiva attraverso mostre personali e rassegne nazionali ed internazionali. Autore di ricerca, è conosciuto anche dal grande pubblico per le sue spettacolari installazioni urbane realizzate nel corso degli anni ’80 e ‘90. Oltre alla pittura si è dedicato alla grafica d’arte ed alla ceramica. Sue opere sono presenti in numerose collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero.

PROFESSOR STEFANO PIZZI

Certo di acqua sotto i ponti ne è transitata parecchia dai manifesti di Toulouse Lautrec per il Moulin Rouge agli attuali post per smartphone originati dagli influencer contemporanei, tanto che si potrebbe dar luogo a una ricerca sociologica sugli avvicendamenti e i mutamenti degli autori. Fatto sta che nel corso del secolo breve la figura dell’artista, in questo ambito, è stata soppiantata da quella del “creativo”, figura multidisciplinare e alquanto ibrida tutt’ora vigente nel mercato della produzione del consenso. Il capitalismo del nuovo millennio, ahimé più finanziario che produttivo,  si è anche inventato il concetto di Smart Factory, o industria 4.0, che in soldoni vuol dire l’automatizzazione creativa e intelligente di un’impresa che attraverso il collegamento perenne in rete e con l’ausilio di sistemi elettronici  può indagare sulle aspettative dell’utenza per modificare eventualmente la produzione. Già dal 2011 alcuni paesi europei, Germania in testa, hanno indirizzato diversi finanziamenti al fine di riportare in vetta, a livello globale, l’economia produttiva della propria nazione.

A seguito di queste premesse ciò che può dar motivo oggi ad un’azienda di avvalersi della collaborazione di artisti visivi è la mai sopita, ancorché poco battuta in ambito d’impresa nonostante illustri precedenti, questione culturale. 

Sinceramente non penso che il contributo di un pittore o di uno scultore possa portare a immediato arricchimento a qualsivoglia società, cooperativa, ecc. Di sicuro promuoverà invece una diversità nei rapporti interni ed esterni che andranno ad arricchire gli attori coinvolti da un punto di vista affettivo, amicale e passionale.

Quella dell’arte, pertanto, può rivelarsi come una una buona carta nel grande gioco aziendale, in primis per la diversità: la scelta culturale qualifica qualitativamente un’azienda a prescindere dai profitti pregressi e, a seguire, la premierà sicuramente nel mercato per le sue scelte culturali ed estetiche.

Insomma è la vecchia citazione del pane e delle rose, spesso relegata nell’ultimo cassetto perché marxiana: e cioè che sia il necessario che il superfluo sono indispensabili per affrontare l’esistenza in una maniera estremamente qualitativa.

E’ una visione d’impianto sociale che probabilmente non può essere compresa da chi imposta la propria vita esclusivamente sull’accumulo ed il profitto, ma che sicuramente premia chi ritiene che il proprio iter vada vissuto ricercando la propria felicità nel rispetto di quella degli altri”.

“Sempre più le aziende sono chiamate a interpretare lo spirito del tempo, soprattutto se si fanno portatrici di messaggi e di istanze emergenti nella società”– aggiunge Antonio Spanedda, artista relazionale e autore del progetto L’arte fa bene al Business – “un ruolo speciale che la collettività oggi vuole discutere è il valore attribuito alla persona e la centralità che a quest’ultima dovrebbe essere garantita, nel lavoro così come nella vita. Con questa prospettiva, ho messo in connessione il patrimonio culturale dell’Accademia di Belle Arti di Brera con la start up IZMEE fondata da Keepup società Benefit di Udine che produce bottiglie in acciaio inox per combattere lo spreco di plastica. Ho così inaugurato il progetto di innovazione aperta “L’arte fa bene al business”, collocandolo nell’avanguardia dell’arte relazionale; la quale, a partire dall’ultimo decennio del Novecento, ha iniziato a riflettere sul valore dei rapporti umani e li ha trasformati nel soggetto stesso dell’opera d’arte. Soggetto, autore e attività artistica sono diventati una cosa sola”

Spanedda, laureato in scultura e dottorato in Arte e Antropologia del Sacro all’Accademia di Belle Arti Brera di Milano, ha fondato il gruppo di performer Argilla e partecipa a numerose rassegne d’arte visiva. Nel 2005 ha partecipato alla Biennale di Venezia con l’opera “Ambone, Casa della Parola” in permanenza nella Chiesa di S. Lio a Venezia. Nel 2010 ha dato vita al progetto artistico IOTIAMO incentrato sull’Amore Universale. Dopo il laboratorio per bambini “Capsula del Tempo”, ha lavorato a Monaco di Baviera per il progetto d’Arte Relazionale “FRAU” dedicato al lato femminile del mondo. In Italia insieme a Stefano Francoli ha realizzato Tramedimpresa un progetto che combina gli strumenti della formazione, con quelli della cultura e della comunicazione. Negli ultimi anni ha ripreso la riflessione sulla donna con un tour espositivo.

ANTONIO SPANEDDA

“La collaborazione tra Accademia e Azienda si è proposta come primo impegno quello di coinvolgere i giovani artisti nella vita imprenditoriale di IZMEE. Un incontro tra due mondi che può portare benefici ad entrambi. L’arte, infatti, può aiutare l’impresa a sviluppare maggiore attitudine all’innovazione. Può aggiungere contenuti e fornire nuovi strumenti di marketing, perché la sua comunicazione è potente, sorprendente, capace di provocare domande e mettere in discussione quei limiti che l’azienda stessa desidera superare nel corso della sua evoluzione.

Ma soprattutto, l’arte offre punti di vista inediti e diventa un’antenna sintonizzata sul futuro, di cui sa anticipare tendenze, esigenze e comportamenti. Dall’altra parte ci sono i giovani artisti che, a loro volta, hanno bisogno di ricollocare la propria funzione in un mondo in continuo e rapido cambiamento. Con progetti come questo, la relazione tra impresa e istituzione diventa per gli artisti un laboratorio in cui esplorare le capacità di creare strategie a lungo termine e produrre valore economico. Ma anche una possibilità per intraprendere un dialogo tra arte e impresa che si era interrotto nel corso dei secoli e che la società attuale, ancora inconsapevole, chiede a gran voce di riportare sulla scena”.

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