Da Biancaneve e Cenerentola, passando per Platone a Madame Bovary, senza dimenticarci di Bridget Jones! Ma cosa è davvero l’amore? L’amore è tossico? E se fosse solo la capacità di distacco? Proviamo a comprenderlo attraverso la guida del testo della psicoterapeuta Laura Pigozzi: Amori tossici. Alle radici delle dipendenze affettive in coppia e in famiglia.

Siamo tutti stati nutriti dalla fiaba del principe azzurro: quell’Uno che arrivava per salvarci, per riuscire a farci evadere dal dramma solitario della nostra esistenza ed innalzarla a un grado ontologico superiore e quindi in armonia con il concetto di felicità. La colpa credetemi non è solo di Walt Disney, ben prima di lui e delle celebri Biancaneve e Cenerentola c’è stato chi ci ha indirizzato verso questo preciso schema relazionale: è tutta colpa di Platone.

Amore tossico? Tutta colpa di Platone

È nel Simposio che il filosofo ci obbliga a credere che scopo della nostra vita, in quanto esseri umani, sia quello di trovare l’altra metà della mela in modo da sovvertire quell’incompiutezza originaria che è il nostro stare nel mondo.

L’essere nella vita, quindi, non avrebbe senso fin tanto che non si rinviene l’individuo che, in un’unione di spirito, anima e corpo, ci riconsegni a quell’Uno, a quel senso di unità e pienezza, che un tempo ci fu strappata via. Questo tipo di interpretazione della dimensione dell’esistenza ha nutrito molto del nostro immaginario, al punto che non riesco a capire quanto, nella visione monogamica e copulare dell’amore, vi sia di culturale e quanto di naturale.

Quando parlo di naturale intendo questo: quanto da un punto di vista etologico – e quindi di etogramma – vi sia nell’umano per spingerlo verso relazioni monogamiche e quanto invece l’essere umano sia mosso verso esse a causa di una narrazione forte e potente che lo ha ridiretto a compiere alcuni specifici comportamenti.

Semplicemente guardandomi intorno, o facendo capolino nella mia vita e quindi nelle mie relazioni e suoi miei rapporti, mi pare che l’alleanza stretta e vincolante a una sola persona non produca effetti poi così positivi.

Non mi soffermo a riflettere sul tedio sessuale che si può provare nel compiere lo stesso atto con la medesima persona per tutta la vita, ma mi spingo ben oltre: due persone sempre a stretto contatto, obbligate ogni giorno a stare insieme senza potersi scegliere, senza potersi prende il lusso di dirsi la verità finiscono quasi sempre per infliggersi la peggiore delle dimensioni relazionali. Si chiudono in una stanza atrofica in cui il rumore del risentimento, della rabbia, dei rinfacci è talmente forte da non riuscire più in alcun modo ad ascoltarsi.

Non voglio assolutamente dissuadere dalla possibilità di un amore romantico, sono una Madame Bovary innamorata dell’amore e lo sono sempre stata, ma è proprio nell’ultimo periodo che mi chiedo quanto l’innamoramento sia fonte di una narrazione dominante del sistema e quanto sia effettivamente un bisogno innato della mia persona. La potenza della narrazione del trionfo dell’amore – inteso come rapporto di coppia monogamico e famigliare – ci viene imposta fin dalla prima infanzia e quella forma specifica di amore – quindi quella per un altro essere della nostra stessa specie e, possibilmente, di sesso opposto – sembra essere quella dotata di una dignità superiore ad ogni altra. Ecco, dunque, la missione: la ricerca dell’anima gemella. E questo tipo di impostazione si rintraccia in ogni luogo: cartoni animati, romanzi, film, telenovelas, pubblicità, serie televisive, rotocalchi e chi più ne ha più ne metta. Dove resta la mia libertà di espressione amorosa? Sono veramente libera di poter scegliere quale forma di affettività sia più prossima alla mia persona?

Amore come unica vittoria sulla vita?
E se fosse amore tossico?

Il fatto problematico non è amare una persona che si sceglie e con cui si è felici, ma il dover per forza trovare quella persona altrimenti è come se la propria vita fosse di fatto un grande fallimento. Pensiamo al film Il diario di Bridget Jones che ironizzava proprio su una trentenne cicciottella e single incapace di carpire le attenzioni di un uomo e pertanto indegna, sia ai suoi occhi che a quelli degli altri, di recitare una posizione dignitosa all’interno della vita.

O siamo in una coppia o stiamo transitando da una coppia all’altra. Perché? Eppure, queste fantomatiche vite di coppia non sono poi così appaganti e neppure felici. Dove e quando effettivamente questo amore trionfa? E’ un amore tossico? L’amore interpretato come una forza esclusiva e non inclusiva è quindi prodotto di una certa narrazione culturale che in qualche modo vincola ed imprigiona il nostro pensiero e la nostra veicolazione affettiva.

Tuttavia, vi è un altro fatto di cui tenere conto che può in qualche modo influire radicalmente nelle nostre relazioni di coppia. Ciò l’ho compreso attraverso la lettura di un testo di Laura Pigozzi, psicoanalista e saggista: Amori tossici. Alle radici delle dipendenze affettive in coppia e in famiglia.

Ho trovato questo libro molto interessante e – pur non condividendolo in tutti gli aspetti – credo che sollevi una questione molto importante: siamo stati capaci di staccarci da quel rapporto originario in cui di fatto siamo stati un Uno con un altro essere umano? Abbiamo lasciato andare nostra madre?

Credo che la questione che sottolinea la psicoterapeuta sia davvero molto interessante e fondamentale: siamo in grado di dire addio? Siamo riusciti a scindere il legame materno e incamminarci verso una vita affettiva autonoma che possa quindi comprendere effettivamente un’altra persona. E per comprenderla non significa risucchiarla, non significa farne un tutt’uno con noi.

Perché è proprio la sovrapposizione tra soglia e identificazione la minaccia che trasforma una relazione in un rapporto tossico. Ogni rapporto tossico non accoglie l’altra persona lasciando ad essa spazio, ma la include e la sovrappone alla nostra persona togliendole ogni possibilità di essere altro da noi e dal rapporto che con noi si sta vivendo.

Questa forma di esclusività tanto osannata è in realtà il pericolo più grande che si cela in ogni rapporto perché esclude la persona dal tetro della propria vita includendola, ma in realtà sottraendola, proprio attraverso la dimensione della coppia.

È questo tipo di relazione un rapporto malato come quello di una madre che non permette la crescita e l’evoluzione autonoma del figlio, quel “troppo amore”, un amore tossico, che finisce per soffocare le bramosie e i desideri sani di sviluppo e autonomia del figlio. La madre coccodrillo, come venne definita da Freud, è quella madre che mangia il figlio perché non accetta che quell’Uno che sono stati non sia più tale, non permettendo che vi sia e si crei quel distacco necessario e sufficiente affinché possa diventare un essere autonomo.

Essere cresciuti in questa modalità significa riproporre relazioni che hanno questa forma e che quindi tendono ad inghiottire l’atra persona: ma se sono entrambe le persone che si inghiottono a vicenda il rischio è che non resti più niente. Al posto della vita l’amore conduce alla morte. Un amore tossico. Non sono due metà della mela che si ricongiungono, quanto piuttosto che si schiacciano vicendevolmente tramutandosi in una grande poltiglia.

Questo tipo di impostazione esclusivista, secondo la psicoterapeuta, è quella che ci ha condotti a una collettività priva di relazione, in cui trionfano individualismo e competitività e nella quale – mentre è alla ricerca di quell’Uno perfetto – ogni essere umanano è solo.

E ciò per il fatto che è incapace di abbandonare, di farsi abbandonare ed inconcludente nel suo saper dire e dirsi addio. Rinunciare alla favola dell’Uno perfetto significa poter intessere una relazione sana in cui non solo si riconosce l’altro, ma lo si lascia fiorire all’interno della vita che, anche se vissuta in relazione, gli resta propria, giacché ogni individuo si appartiene.

Lasciare andare è una delle lezioni più profonde e costanti che la vita ci offre e come mi ha insegnato un altro testo di Chandra Livia Candiani, Il silenzio è cosa viva, la vita è fatta di distacchi e, aggiungo io, la vita è distacco: bisogna imparare a distaccarsi da tutto – persone, cose, situazioni – per poi accedere a quell’ultimo brutale ma necessario distacco: la vita stessa.

Forse quell’Uno che cerchiamo è solo dentro di noi.  

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