La frase è di quelle che non si dimenticano. Ma non può vivere da sola, ha bisogno che dietro ci sia una storia. E la storia è questa.

Ciro il Giovane assolda diecimila mercenari greci per usurpare il trono di Persia al fratello Artaserse, tra cui lui, Senofonte, nel doppio ruolo di soldato e cronista embedded. La strada è lunga, i soldati percorrono la Turchia e lambiscono Siria e Iraq.
Non finisce bene.
Siamo nel 401 a.C, gli Elleni hanno la meglio a Cunassa, ma Ciro muore. L’esercito è allo sbando e proseguire non ha più senso, occorre trattare l’armistizio, i generali elleni raggiungono la tenda del satrapo Tissaferne per parlamentare. Il comandante persiano però non è uno che ama troppo i discorsi: li fa decapitare.

E qui inizia il romanzo, l’Anabasi, letteralmente: spedizione verso l’interno, anche se gli Elleni vagheranno piuttosto verso l’esterno.

Come fare per tornare a casa? C’è bisogno innanzitutto di nuovi comandanti. Senofonte, ateniese, si fa avanti, si fa scegliere, ed è lui che racconta questa storia con tono apologetico, e ogni volta che Senofonte parla di sé in terza persona mi fa pensare a Woody Allen quando nel suo Bestiario surreale parla del Nurk: un uccello lungo cinque centimetri che sa parlare ma continua a far riferimento a se stesso in terza persona. Per esempio: “È un gran bell’uccellino, no?”

Senofonte fa sempre un figurone, e nei dibattiti in cui si deve decidere l’azione è l’asso pigliatutto: parla per ultimo neutralizzando il punto di vista di tutti gli altri interlocutori – che ogni volta immaginiamo applaudire, fischiare alla pecorara e roteare vorticosamente i pugni, tale è il tono della narrazione. Non è un caso che sarà Giulio Cesare a riprendere, nel De bello gallico, la sua lezione di umiltà.

Ma ora immaginateli, i diecimila: assediati dai persiani, mentre si muovono in territori ostili, percorrono parasanghe su parasanghe, guadano fiumi, gelano nella neve armena, razziano villaggi, subiscono agguati, annaspano, muoiono, uccidono, tutto sotto la guida dello storico. Sembra un thriller d’avventura, sembra, che so, la trama dei Guerrieri della notte, il film del ’79, la gang newyorkese che deve tornare a Coney Island fronteggiando le gang avversarie, e infatti è proprio quella storia lì!
Sol Yurik, che è l’autore del romanzo da cui il film è tratto, si è ispirato all’Anabasi (il nome di uno dei protagonisti, Cyrus, avrebbe dovuto suggerirci qualcosa).

Ma siamo alla frase o, meglio, alla parola.
L’esercito degli Elleni, grazie a una guida locale raggiunge il monte Teche nei pressi di Trebisonda. I primi a raggiungere la cima non possono crederci. Esultano, festeggiano e, soprattutto, gridano.
Senofonte è rimasto indietro, all’inizio non capisce, pensa che i suoi siano sotto l’attacco dei nemici, corre preoccupato. Ma più il numero dei mercenari che raggiunge la cima aumenta, più il grido si fa potente e Senofonte si rese conto che stava accadendo qualcosa di eccezionale.
Immaginateli, dopo un anno di marcia, peltasti, opliti e cavalieri mentre ascendono, valicano e con lo sguardo superano l’ultimo sperone di roccia per osservare, e piangono, esultano, e gridano, semplicemente:

Thálassa! Thálassa! Ossia: Il mare! Il mare!

Thálassa! Thálassa! è il grido della liberazione. Thálassa! Thálassa! è quando pensi di non farcela e poi, improvvisamente, ce l’hai fatta. Thálassa! Thálassa! è il momento in cui, dalla cima, vedi casa. Dovremmo fondarci le nostre vite, sul Thálassa! Thálassa! Pensare che sì, l’orrore, lo sconforto, un terremoto o una pandemia, ma poi Thálassa! Thálassa!

Che splendido finale per un racconto di viaggio che è anche d’avventura, memoir, romanzo storico e trattato di storia. Che splendido finale, quell’arrivo davanti al Mar Nero, la presa di Trebisonda (e non a caso si dice perdere la trebisonda perché chi smarriva quel punto di riferimento per le imbarcazioni perdeva l’orientamento). Peccato che arrivi solo poco dopo la prima metà del libro. Da lì la strada per il ritorno sarà ancora lunga.

Anabasi di Senofonte (BUR, 1994)
Pagina 271

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