In radio, nella mitica Alto Gradimento, lo urlava Giorgio Bracardi: “L’uomo è una bestia!”. Per anni, quel grido ha ricordato, non volendo, che noi umani prima di tutto siamo animali. Cosa che abbiamo dimenticato, abbiamo calpestato. Ma certo, bestia è non solo formalmente l’utilizzo del termine animale in contrapposizione all’essere umano ma bestia, era ed è utilizzato in maniera spregiativa, ancora di più di un qualsiasi “sei un animale”, proprio come affermava Bracardi.

Non è una questione di politicamente corretto ma una questione di sostanza. Aggettivare comportamenti prettamente umani in riferimento agli animali, quando gli animali non compirebbero mai uno stupro (il branco), né ucciderebbero per diletto (il lupo), non risponde alla realtà e continua implicitamente – l’umano in questione – a voler infierire, anche solo a parole, sugli altri animali diversi da noi.

Oppure si usano modi di dire che non mettono in discussione, anzi li rendono normali, i nostri trattamenti degli animali (“abbiamo viaggiato come bestie”, “sono stati trattati come bestie”). In ogni caso, tutto è dipinto in maniera negativa (“lo hai fatto andare in bestia!”, “è una brutta bestia”, “sei la sua bestia nera”).

Eppure gli animali, gli altri animali, sono come noi. Ce ne sono, per ognuna e ognuno di noi, di simpatici e antipatici, belli e brutti, confidenti e scontrosi. Ma a prescindere da questa realtà, personale, tutti meritano rispetto. Per me, e non solo, hanno diritto anche a libertà, dignità, vita.

Ora proprio in questa notte, quella di Sant’Antonio Abate, si dice che gli animali parlino. Coloro i quali negli altri 364 giorni l’anno non solo non li ascoltano ma, anzi, li utilizzano, li sfruttano, li allevano, li mangiano, potrebbero però iniziare ad ascoltarli davvero.

Basta pensare all’attuale pandemia: sono proprio gli animali a farci capire che per non ripetere i nostri, gravissimi, letali, errori, dobbiamo cambiare e non tornare come prima, per esempio attuando i sei obiettivi suggeriti dalla Lav per non avere altri Covid. Perché i tre quarti delle epidemie e pandemie degli ultimi cent’anni sono nate e si sono diffuse a seguito del mal trattamento degli animali.

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