Non appena venerdì 4 marzo, Scatolette, il nuovo singolo dei Ministri, è comparso sugli scaffali virtuali dei supermarket sonori, mi sono ripromessa che avrei scritto qualcosa a riguardo. Ma ho aspettato il momento in cui ne avrei guadagnato una percezione lucida o, perlomeno, non contaminata dall’emozione.

Ora che è passata più di una settimana, mi rendo conto che la pervasiva sensazione di angoscia del primo ascolto forse non se ne andrà mai. Un campanello d’allarme che mi sento, tuttavia, di valutare molto positivamente: le canzoni, oggi più che mai, devono essere soprattutto richiami, scucire le suture di una realtà inquietante e troppo a lungo sopita.

Il fatto è che Scatolette è un pezzo scomodo. La scelta melodica schiude un ambiente sonoro fascinosamente confortevole ma le parole e il timbro graffiante di Divi scottano: l’esperienza è quella della rana di Chomsky che, mentre sguazza nella pentola portata a ebollizione, si gode il tepore senza accorgersi della sua fine imminente.

E se una sola riproduzione lascia l’amaro in bocca, non immagino cosa voglia dire scriverla, viverne la sofferenza.

“Chiudono le bibliotеche, chiudono le discotechе
Si rompe anche il megafono del prete
Non ha senso questa quiete
Ma poi arriva una Mercedes

Voi ci volete comprare
Noi ci vogliamo salvare
Ma ci volete davvero?
Non ci farete del male?”

Scatolette-Ministri

Il tema chiave è quello della mercificazione della cultura: dal silenzio delle biblioteche, al clamore delle discoteche, alla musica, chiaramente. Un mondo a molti, me in primis, estraneo, dove l’urgenza di ritrovare un’espressività libera è spesso asservita alle logiche di mercato.

E il conflitto tra il desiderio dell’artista di mantenere una propria coerenza intra-traccia e quello della distribuzione di patinare il prodotto si intensifica ora che la modalità di fruizione privilegiata dell’arte è quella digitale: solo una parvenza di comunicazione, che smaterializza e annienta il contatto umano.

Lo so, detta così, sembra la solita retorica post-pandemica, ma vi stupirò: Federico Dragogna ha dichiarato di aver dato vita a Scatolette nella primavera del 2019, quando io iniziavo ad ascoltare i Ministri e Covid non era una parola di senso compiuto.

E questa è un’altra pillolina dura da inghiottire, a ricordarci che non ha senso vagheggiare un ritorno alla normalità: la realtà prima del virus di normale aveva ben poco.

“Scompare un drone nel tramonto
Proprio nel punto in cui si incurva il mondo
E c’è una crepa in ogni paradiso
Un gatto nero, grigio”.

Scatolette-Ministri

Tra i cantastorie del nostro tempo, i Ministri si confermano i più sensibili e realisti.
Con la medaglia da antieroi sfacciatamente appuntata alle giacche, mettono in musica la presa di coscienza di chi sceglie, a fatica, il compromesso. Di chi si piega e si piaga.

Alla lotta tenace degli esordi si sostituisce la resa, come accettazione del presente distopico a cui apparteniamo e che non possiamo annientare. Resa che diventa quasi necessaria per coloro che non vogliono smettere di fare rumore. E questo è proprio il caso della band milanese che, dal 2009, colma di suoni i tempi bui, non perdendo neanche un’occasione per farsi sentire.

Un’altro tema chiave per entrare nel mondo di latta di Scatolette è il silenzio. Proprio ora che la parola è disdicevole e tacere sembra la migliore strategia, i Ministri suonano per parlare di quiete.

Qui, certo, le urla consuete si lasciano addomesticare in una melodia limpida ma tagliente che deflagra in potenza a partire da un attacco quasi sussurrato. Eppure non manca niente: la poesia, la paura, la speranza.

Tra le trame sonore del brano, ho colto soprattutto l’esigenza di ritrovare una complicità con l’ascoltatore: credo che il fulcro di questa canzone sia l’amore, non quello che passa in radio ma una passione sincera che spinge ad una coraggiosa scelta di vita.

Scelta vincente? . Nonostante al desiderio del successo forse abbia già rinunciato, nonostante la crisi dell’intero settore, il gruppo può contare sul supporto costante di un piccolo seguito di grandi affezionati (io capofila) pronti a disidratarsi sottopalco durante il loro tour primaverile dei piccoli club sopravvissuti, che è ormai alle soglie.

Nuovo tour, nuovo album (Giuramenti che uscirà per Woodworm/Universal il 6 maggio): si potrebbe dire che è l’anno dei Ministri… aspetto un aggiornamento del calendario cinese!

Condividi: