È finita l’estate dei concerti con le sedie (o sulle sedie, nel caso specifico della sottoscritta) ma i Ministri riportano il sole. Per intenderci: non l’astro dei tormentoni da pubblicità Algida, ma una palla di fuoco che emana una luce abbagliante, che scotta. Allo scoccare della mezzanotte di venerdì 3 dicembre, la band milanese ha sparato sul mercato digitale il nuovo singolo: Numeri, uscito per Woodworm dopo l’EP Cronaca Nera e Musica Leggera.

Per chi l’ha aspettato sveglio, il fragore è stato così assordante che se la cometa di Halley fosse passata quella stessa notte, nessuno se ne sarebbe accorto. Esagero? Lasciatemi fare.

Non credo sia prossimo il giorno in cui smetterò di invitare all’ascolto dei Ministri chiunque si imbatta malauguratamente in me che discorro di Mooseca. Tuttavia Numeri ve la consiglio un po’ di più, fondamentalmente perchè penso che sia un pezzo di cui abbiamo bisogno.

Ma analizziamolo. Tre minuti e quarantanove secondi (dato che di numeri si parla) di pura essenza rock, quello vero, quello pestato. Morale della favola: fosse stato scritto in aramaico me lo sarei pompato comunque.

Il valore aggiunto è che, a onor del vero, Federico Dragogna non scrive in aramaico (anche se non mi stupirei se iniziasse a farlo) e che anzi la sua penna sputa fuori testi mostruosamente potenti dal 2006. Del resto, meglio che io svisceri le lyrics, visto che la mia formazione musicale si ferma a Fra Martino con il flauto, vi parlo delle scuole medie.

In Numeri dei Ministri c’è la realtà di oggi, nella modalità in cui ci piace fruirne, ovvero condensata.

Facciamo pace con i numeri

Un artista si valuta in base a quante stream raccoglie su Spotify, il post che non archivierai mai è quello con mille like ed è macabro constatare come, da due anni, la nostra vita sia condizionata dai dati del Covid. Ormai le vittime perdono consistenza e appaiono al telegiornale in forma di tanti zeri, belli tondi e luminosi. 

Il numero è un concetto difficilmente contestabile ma cosa ci lascia? Spoiler: niente. Basti pensare alle date che abbiamo memorizzato in 10 anni di scuola: voi quante ve ne ricordate?

Ogni cifra è solo una sfaccettatura, peraltro intangibile, di un mondo che è molto altro e, prima di tutto, umanità. Un’umanità di cui abbiamo perso le coordinate e che, invece di riunire, abbiamo smembrato. La pandemia ci ha insegnato che su sottrazioni e divisioni siamo davvero ferratissimi ma non dimentichiamoci che le operazioni fondamentali sono quattro.

Allora cosa fare? Accanirci? Proprio il contrario! I tre ragazzoni con le giacche ci invitano a far pace con i numeri, a far pace con gli incubi. Perciò ridimensioniamoli, accettiamo il fatto che non saranno certo loro a definirci e scrolliamoci di dosso la convinzione che possano istruirci sul nostro futuro. Che anzi, alla fine le cose oggettive sono quelle che lasciano più margine alla nostra capacità di interpretazione.

Lo sviluppo del resto della riflessione ministriana (o ministrica?) è come la salsa rossa al take-away cinese: agrodolce. Sublima il disincanto di una generazione: quella dei rider in sella alle biciclette mentre inseguono il loro personale miraggio e quella dei nuovi lavori computerizzati, se possibile, ancora più precari.

Ma c’è anche l’ottimismo, quello sfacciato. La speranza si ritrova nel contatto con gli altri. È nell’imperfezione, nel rumore di un sottopalco, nella fanghiglia che si lascia dietro la paura quando finisce di ottenebrare le menti.

In conclusione, menomale che c’è ancora chi ai numeri reagisce con le parole: hanno tutta un’altra consistenza.

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