L’articolo che ho pubblicato il 3 gennaio, intitolato 6 donne instagrammer contro l’abilismo che hanno molto da insegnare, è stato un errore, nella forma, nel metodo e nella sostanza. Ho agito con superficialità e ingenuità nel trattare il tema dell’abilismo, seguendo una mia emozione invece di rispondere alla mia responsabilità di direttrice di testata e di prima firmataria del Manifesto ReWriters e adottare la rappresentazione che le persone con disabilità rivendicano, da anni impegnate proprio in quella riscrittura dell’immaginario che è la mission del nostro movimento culturale.

L’idea che avevo era comporre un pezzo che menzionasse persone con disabilità che riteniamo voci importanti di una comunità ancora troppo poco conosciuta, nella convinzione che la società tutta abbia bisogno sempre di più di ascoltare la voce delle diversità, di tutte le diversità, per andare nella direzione della convivenza delle differenze (secondo la bella definizione di Fabrizio Acanfora). E invece sono caduta nella stessa retorica che, a partire dal nostro Manifesto, rifuggiamo nella sua interezza: quella dell’abilismo e dell’inspiration porn.

Le mie scuse sono senza se e senza ma, proprio come quelle del medico che, convinto in buona fede di curare un malato (le nostre società abiliste) si trova a fare danno, tradendo, sia pure involontariamente, i presupposti che lo rendono medico: il Giuramento di Ippocrate. Ecco, io con quell’articolo ho perso di vista il nostro Manifesto e le persone impegnate in battaglie che sono anche nostre. E anche la comunità dei rewriters, uomini e donne, ragazzi e ragazze, che con noi fanno attivismo, in nome di quel Manifesto.

La presa di coscienza di tutto questo è stato un percorso lungo, durato vari giorni, durante i quali sono passata attraverso la rabbia (che ha a che fare con l’orgoglio) per poi arrivare al dolore che provo oggi. Devo ringraziare le persone che mi hanno accompagnata, stimolandomi anche a trovare un modo per riparare e fare un nuovo passo avanti: Vera Gheno, Domitilla Pirro, Paola Di Nicola, Lidia Ravera, Francesca Cavallo. Ma anche mia moglie, Rory Cappelli, con la quale abbiamo simulato una situazione simmetrica, riferendola però alla minoranza delle persone LGBTQI+ a cui apparteniamo in quanto famiglia omogenitoriale.

In questa riflessione corale, abbiamo deciso di creare un Comitato di Garanzia del Manifesto ReWriters di cui faranno parte rappresentanti di tutte quelle diversità che il nostro Manifesto sostiene per dare un segnale chiaro sul fatto che nulla del genere dovrà mai più accadere nel nostro movimento. Del resto, tutte le teorie sulle echo chamber, o camere dell’eco, ci insegnano che le bolle non si bucano da fuori, ma dal loro interno. Questa vicenda ci dà l’opportunità di farlo, di andare oltre i nostri confini per esplorare nuovi orizzonti.

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